In questi tempi drammatici di guerre che non sembrano trovare una via di soluzione, si pone di nuovo la questione: quali sono le cause psicologiche e sociali della guerra, che ovviamente possono essere rafforzate da fattori economici, ad esempio aumento di domanda effettiva, occupazione e profitti connessi al riarmo? Sulle cause psicologiche e sociali, possono individuarsi due grandi indirizzi, sui quali proponiamo qualche breve riflessione:

(I) Il primo, che potrebbe definirsi di psicologia sociale, il cui pensiero di fondo, con vari distinguo ovviamente, potrebbe così riassumersi: il vero motivo all’origine delle guerre non è da ricercarsi nell’operare di istinti malvagi, ma nel condizionamento sociale ad opera di habits collettivi che inducono alla guerra. Ad esempio, John Dewey sostiene che, “Pugnacity and fear are no more native than are pity and sympathy. The important thing morally is the way these native tendencies interact, for their interaction may give a chemical transformation not a mechanical combination. Similarly, no social institution stands alone as a product of one dominant force. It is a phenomenon or function of a multitude of social factors in their mutual inhibitions and reinforcements.”, Dewey, Human Nature and Conduct, [2020 (1921)]: 53.

Sono considerazioni interessanti, ma, essendo prive di una chiara teoria psicologica dell’azione umana, lasciano in ombra i motivi per cui le tendenze aggressive e prevaricatrici tendono a prevalere nell’azione sociale. Questo perché Dewey considera semplicistiche ― anche se non è detto esplicitamente a quali teorie/autori si riferisca ― le teorie degli istinti proposte dalla psicologia e dalla psicoanalisi. E, d’altra parte, non propone alcuna chiara teoria al riguardo. Egli sembra sostenere, mostrando un certo parallelismo con l’analisi di Veblen sugli istinti del workmanship e parental bent, che la natura umana sia molto malleabile ma la cui vera essenza sia di socievolezza e cooperazione. Ma che, tuttavia, tali tendenze possono essere facilmente deviate da habits sociali basati su rigide gerarchie e sopraffazione. Per Dewey, il modo migliore per ottenere una società più friendly e creativa è quello di promuovere ― attraverso il miglioramento dei processi di istruzione e partecipazione collettiva ― la social intelligence in action al fine di ottenere cittadini consapevoli ed indipendenti nelle loro scelte collettive.

Queste proposte sono molte appropriate ma troppo vaghe. In realtà, non spiegano i motivi per cui, ad esempio, come lamentato dallo stesso Dewey [ad esempio, in Individualism. Old and New, [1999 (1929-1930)], molte persone non sono autonome nei loro giudizi e sono vittime, ad esempio nelle elezioni politiche, di disinformazione e manipolazione di massa. Però, nonostante questi limiti, l’analisi di Dewey è sempre interessante e mai scontata, ed ha il merito di analizzare aspetti troppo spesso lasciati in sordina.

(II) Un altro importante indirizzo, sviluppato da vari indirizzi di psicologia e dalla psicoanalisi, evidenzia il ruolo dei conflitti psicologici nello sviluppo di emozioni e comportamenti improntati alla violenza e alla prevaricazione. In particolare, in psicoanalisi ― nonostante la circostanza, che, anche a causa della (molto poco convincente) teoria dell’istinto di morte proposta da Freud nell’ambito della seconda teoria delle pulsioni e della quale peraltro egli non ne fu mai pienamente convinto, non vi è una teoria univoca sull’origine della pulsione di aggressività ― vi è ora, con vari distinguo, un’ampia convergenza sulla teoria che i comportamenti aggressivi dipendono largamente da un rapporto conflittuale con i genitori. Ovviamente una certa dose di conflitto può essere considerata normale, ma diventa facilmente patologica quando i genitori o caretakers trasmettono i loro conflitti nel rapporto con i figli. Ad esempio, nel caso di una madre che ha vissuto un’esperienza di deprivazione materiale/affettiva e trasmette queste esperienze nell’allattamento dei figli, il risultato sarà, come ben descritto dai lavori di Melanie Klein, un aumento dei meccanismi paranoici di separazione tra “seno buono” e “seno cattivo” e dei connessi sentimenti di rabbia, avidità, senso di colpa e connessa mania di persecuzione, anche collegati alla fantasia di svuotare il seno materno. Da queste esperienze può nascere una nozione nevrotica di scarsità e l’idea che la sopraffazione sia necessaria per la sopravvivenza. Questi conflitti possono essere enormemente rafforzati dal complesso edipico, ed in particolare dalla rivalità sessuale ed affettiva in particolare nei confronti del genitore dello stesso sesso, che portano a pensare che solo sopprimendo “il rivale” è possibile avere l’affetto ed il nutrimento del genitore di sesso opposto.

In questo caso, non è vero, come sostengono molti critici spesso sulla base di letture un po’ affrettate, che il complesso di edipo (o familiare in termini più neutri) non considera la complessità dei fattori culturali che concorrono a formare la struttura familiare. Al contrario, le teorie del complesso di edipo, a partire da Sigmund Freud, riconoscono appieno l’interazione tra fattori familiari e sociali. Ad esempio, nel caso della famiglia patriarcale, vi è sicuramente una dinamica familiare ― collegata, per il bambino, alla rivalità edipica verso il padre, la sua successiva rimozione e successiva identificazione, per nascondere il suo odio contro di esso, con un padre autoritario; e, per la bambina, alla rivalità edipica e la identificazione con una madre sottomessa ma sotterraneamente aggressiva, anche in questo caso, per nascondere il suo odio contro di essa e verso il padre ― alla base della trasmissione dell’atteggiamento patriarcale verso i figli. Questi orientamenti nevrotici a livello familiare, se possono ovviamente contribuire al formarsi di una società autoritaria e bellicosa, sono a loro volta influenzati, in una complessa interazione, da una società autoritaria e bellicosa.

Nella guerra viene tipicamente “agita”, nel significato psicoanalitico, una dinamica edipica: si lotta contro l’esercito nemico, il padre rivale, per la conquista della madre/terra/patria. Tale dinamica può essere razionalizzata/sublimata in vario modo ma la radice nevrotica di sopraffazione e di rivalità edipica/sessuale resta la stessa. Ciò è evidenziato in modo drammatico, dalle razzie e stupri che molto spesso accompagnano le guerre e che ne mostrano, al di là di tanta retorica, il suo vero volto. Così come resta lo stesso il suo orientamento paranoico, che consiste nel proiettare negli altri gli aspetti negativi della nostra personalità.      

Conclusioni

Come conclusione di questo breve excursus, possiamo notare che entrambi gli orientamenti, psicologia sociale e psicoanalisi, possono essere estremamente utili per comprendere, e quindi avviare a soluzione, i conflitti psicologici e sociali alla base delle guerre e della sopraffazione a livello individuale e sociale. In effetti, tali approcci sono complementari e quindi un loro utilizzo sinergico può aiutare a comprendere, da un lato, le radici nevrotiche dell’agire sociale e, dall’altro la dimensione sociale dell’azione individuale. Ad esempio, la giusta enfasi posta da Dewey sull’importanza dei processi di apprendimento e partecipazione potrebbe includere anche lo studio delle radici psicologiche e sociali dei conflitti individuali e collettivi.

di Arturo Hermann

Qualche riferimento bibliografico

Dewey, J. [2020 (1921)], Human Nature and Conduct, Bibliotech Press.

Dewey, J. (2000), Liberalism and Social Action, Amherst, New York, Prometheus Books. First published in 1935.

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Veblen, T., The Instinct of Workmanship and the State of the Industrial Arts, New Brunswick (New Jersey, U.S.A.), Transaction Publishers, 1990, edizione originaria 1914, Macmillan Company.