Per vedere “La locandiera”, molto liberamente ispirata alla commedia di Goldoni che studiai a scuola, impiego più tempo nel tragitto che in sala. Trenino da Ostia-metro- Termini- via Giolitti fino all’Ambra Jovinelli. Non ricordavo così via Giolitti. Tutta negozi, nessuno negozio italiano per circa un kilometro. Bottiglie di birra sui muretti, alcune a terra. A terra un po’ di tutto, comprese vari prodotti animali ed umani, liquidi e solidi, che costringono ad una estenuante gimkana. E nell’aria un odore strano idi kebab ed altro. Godo moderatamente l’interpretazione di Laura Morante,molto se stessa. Poi torno a casa. Mi diverto di più al ritorno in trenino. Prima spio il tablet di un inglese accanto a me che ripassa il suo italiano con frasari tipici tradotti. Tutto ok. Tranne a un certo punto una frase. “Mi presenta mia moglie”? Non riesco a leggere il testo inglese di cui quella sarebbe una traduzione. Mi allarmo un tantino pensando al mondo delle macchine che traducono e non solo. Poi ho davanti a me una famigliola che è tale e quale una famiglia italiana. Solo che decido che è filippina da molti indizi. L’uomo, marito e padre, stravaccato a dormire; la madre e due figlie di 8 e 13 anni più o meno. Accanto a me due ragazzi italiani, uno velocissimo con lo smartphone, tutto il tempo ad abbattere mostri, l’altro a chattare, mi pare. E quella madre filippina (immagino una badante) che non dà tregua alla piccola. Tabellina, del 4, del 5, del 6, etc. Ogni tanto la più grande interviene facendo la sorella maggiore, sempre rimproverata dalla madre. Tutte in un italiano perfetto, addirittura con i congiuntivi che gli “indigeni” ormai ignorano. Quindi si passa all’inglese. I colori. Green, brown, etc. La bambina dice uit per white e la madre le fa un’affettuosa scenata. Si dice: “uait”.Poi si parla di catechismo, cresima, etc. Accanto a me gli italiani indigeni che non parlano e non scrivono più l’italiano continuano ad abbattere mostri e a chattare. I filippini cui si nega la cittadinanza salveranno l’italiano e anche le tabelline. E forse anche il lavoro, a dispetto dei finti lavori di molti italiani e di molti immigrati che non si sa integrare. . .