di Arturo Hermann

Introduzione

Partiamo da un esempio concreto; nel dibattito corrente, riecheggia sempre questa domanda: quanti soldi sono stati dati alle banche, lasciando trapelare la preoccupazione che quei soldi vengono presi dalle nostre tasse.
Ciò pone una questione centrale ─ il potere enorme delle banche ─ ma in modo alquanto fantasioso. Infatti, la risposta a tale domanda è questa: alle banche non è stato dato nemmeno un centesimo! Quindi le nostre tasse sono al riparo (almeno da quel fronte).
Il motivo è semplice e complesso: poiché nel nostro sistema, il denaro è creato dalle banche (centrali ed ordinarie) ex-nihilo (“dal nulla”), ossia con un semplice tratto di penna (ora di click), evidentemente non solo il governo non può dare nessuna somma alle banche, ma al contrario, tutte le somme di cui dispone vengono “passate” dalle banche ai governi.
La domanda quindi, quanti soldi sono stati dati alle banche, significa quindi, quanta moneta lo Stato consente alle banche di creare? In questo senso, lo stato svolge il ruolo di ultimo garante delle istituzioni e delle politiche, ma la moneta la creano sempre le banche. Anche se nulla vieta, come avveniva in passato con il classico potere di signoraggio, che lo stato crei la propria moneta. In effetti, fu proprio per evitare l’autoreferenzialità connessa al potere di signoraggio che venne introdotta una netta separazione tra stato e banche centrali (le uniche ora abilitate a creare moneta). Ovviamente questo sistema risolve solo in minima parte il problema, e vi è un’ampia letteratura sull’argomento.

Moneta Merce e Moneta Fiduciaria

Questo processo rimanda ad una complessa evoluzione del concetto e delle funzioni della moneta, che è avvenuta per consentire l’espansione del settore pubblico e della domanda globale. In questo senso, l’evoluzione dei sistemi economici negli ultimi secoli ─ dall’economia feudale all’economia capitalistica ─ può leggersi attraverso il progressivo passaggio dalla moneta merce alla moneta fiduciaria. La moneta merce, infatti, poiché doveva essere “prodotta” come merce per essere spesa, consentiva uno sviluppo limitato della domanda effettiva.
Per ovviare a ciò, alla moneta merce furono presto affiancate varie forme di banconote, e ciò rese possibile lo sviluppo del credito su vasta scala a livello pubblico e privato: in particolare (i) con i compratori emettendo promesse di pagamento che venivano scontate dagli imprenditori presso le banche in cambio di “moneta fresca”; e (ii) con lo stato emettendo titoli del debito pubblico, sempre in cambio di “moneta fresca” che serviva per finanziare (in assenza di un’adeguata tassazione in particolare dei redditi più elevati) la spesa pubblica.
In una prima fase, le banconote erano “garantite” in modo diretto dalla moneta merce, in particolare l’oro, e potevano quindi, almeno in teoria, essere sempre convertite in esso. Con il passare del tempo, la moneta merce diveniva una garanzia sempre più nominale, dato che il valore della circolazione monetaria aumentava sempre più rispetto all’oro in possesso nei forzieri delle banche.
Alla fine, come è noto, il valore della moneta è stato totalmente sganciato da qualsiasi riferimento “materiale”. La moneta attuale è quindi una “moneta fiduciaria”, ossia un diritto sull’acquisto di beni e servizi e sulla liberazione delle obbligazioni pecuniarie.

La Piramide del Debito come Driver della Domanda Effettiva

Può essere interessante osservare che il credito così creato ha sempre svolto una funzione centrale nella formazione di nuova domanda effettiva perché di norma i debiti sono ripagati in modo lento ed incompleto e le conseguenti “perdite” delle banche vengono spesso ripianate con la creazione di nuova moneta. Ma, aspetto estremamente interessante, anche la moneta cartacea creata dalla banca centrale assume la natura di debito: per la precisione, un debito verso se stessa. In questo senso, la scritta sulla vecchie banconote, “pagabili a vista e al portatore” significava che (molto in teoria ovviamente) se il cittadino portava le banconote in banca centrale, aveva il diritto a ricevere una quantità equivalente di lingotti o di moneta aurea. Ovviamente nessuno si sognava di fare questo (anche perché a che sarebbe servito?) ed il diritto era solo nominale, visto che la circolazione monetaria era di molte volte superiore all’oro posseduto dalle banche centrali. Anche ora, in cui non vi è più un aggancio nominale all’oro e la moneta è totalmente “inconvertibile”, tale principio rimane intatto nella sua sostanza. La moneta emessa, con un tratto di penna o di click, dalla banca centrale in favore di altri soggetti costituisce sempre una “passività” nel suo bilancio, alla quale corrisponde in attivo un “valore equivalente” che garantisce tale passività. Tali attività sono largamente nominali e “virtuali”, e possono spaziare dall’acquisto di titoli del debito pubblico ai ricavi presunti della spedizione su Marte del 2050.

L’istituzione della moneta fiduciaria e della connessa piramide del debito hanno così permesso nei più importanti Paesi un’enorme espansione del debito pubblico e privato negli ultimi 150 anni, ed in particolare nel secondo dopoguerra. Cosa poco osservata, il rapporto debito privato/PIL è nettamente più elevato del debito pubblico, ed oscilla (dati OCSE) tra il 150%-200% ed il 300%-400% nei più importanti Paesi, con i valori maggiori per i Paesi nordici. Poiché tali trend svolgono anche la funzione centrale di compensare la cronica difficoltà della domanda effettiva a raggiungere il livello di piena occupazione, appare evidente che ogni “soluzione” neo-liberista di tagli indiscriminati alla spesa pubblica può solo peggiorare la situazione. Se si vuole risolvere il problema del debito pubblico e privato bisogna affrontare il problema alla radice, ossia “risolvere alla radice” il problema della domanda effettiva.
Una nuova programmazione economica, basata sui principi della sussidiarietà e della partecipazione, può costituire la chiave di volta per coniugare al meglio gli obiettivi della libertà individuale, della giustizia sociale, e del progresso nel senso più ampio del termine.
Un aspetto centrale di questo processo è una riforma del sistema bancario che ne accentui il ruolo di funzione pubblica. Elementi centrali ed interrelati di questa trasformazione sono una riduzione permanente dei tassi di interesse reale, un tetto molto più stringente all’emissione di titoli derivati, ed una promozione trasparente delle attività produttive e sociali, in particolare delle piccole e medie imprese. Se già si realizzasse questo, sarebbe un’autentica rivoluzione.