di Arturo Hermann

 

La supply side economics ─ che è stata portata avanti, tra gli altri, da Reagan e poi da Berlusconi ─ può considerarsi una variante del neo-liberismo, e sostiene che per rilanciare l’economia bisogna agire dal lato dell’offerta: essenzialmente, riducendo la tassazione, e diminuendo in misura minore la spesa pubblica. E aumentando quindi il disavanzo di bilancio, in una sorta di “Keynesismo di destra” (di destra perché la spesa pubblica è stata indirizzata, a scapito del welfare, verso spese che beneficiavano le grandi imprese: ad esempio, commesse militari e di altro tipo).
Con la diminuzione della tassazione, sostengono i suoi adepti, vi sarà un tale incremento del PIL che, attraverso il maggior gettito, sarà possibile azzerare il maggior disavanzo iniziale.
Una semplice analisi del moltiplicatore del reddito (e dei dati reali) evidenzia che questa ipotesi è largamente irrealistica.
Partiamo dal moltiplicatore con imposta sul reddito 1/1 – c(1 – t), dove c è la propensione al consumo rispetto al reddito e t è l’aliquota dell’imposta diretta. Se ipotizziamo, come valori realistici, c uguale a 0,8 (80% del reddito) e t uguale a 0,4 (40% del reddito), supponendo di partire da un livello di 100 miliardi di “spesa autonoma” (ad esempio spesa pubblica e creazione di credito), otteniamo,

1. 100 [1/1- 0,8(1 – 0,4)] = 100*(1/0,52) = 192

Se diminuiamo l’aliquota al 30%, come suggeriscono i supply siders, otteniamo,

2. 100 [1/1- 0,8(1 – 0,3)] = 100*(1/0,44) = 227

In questo caso l’incremento del reddito è (227 – 192)/192 = 35/192 = 0,182, e vi sarebbe quindi un incremento del PIL di ben il 18,2%!
La differenza del prelievo fiscale nelle due situazioni, considerando una imposta indiretta del 15%, è uguale a,

3. (227*0,45) – (192*0,55) = 102,15 – 105,6 = -3,45

Dove 0,45 e 0,55 sono la somma delle percentuali delle imposte dirette ed indirette nelle due situazioni, ossia,

4. [(227*0,3) – (192*0,4) + (227*0,15 – 192*0,15) = (68,1 –
76,8) + (34,05 – 28,08) = – 8,7 + 5,25 = -3,45

Quindi, a parità di altri fattori, anche in presenza di un incremento del PIL del 18,2%, il disavanzo di bilancio peggiora di un importo pari a 3,45 miliardi. Però, se veramente il PIL aumentasse del 18,2% (o comunque in materia notevole), tale incremento di disavanzo sarebbe più che tollerabile. Il punto è che, come evidenziano le esperienze reali, ciò non si è mai verificato. Infatti, se la formula del moltiplicatore ─ ricordiamo sempre che le formule in economia esprimono, nella migliore delle ipotesi, solo tendenze ─ può essere valida per una persona con un reddito medio (o per importi limitati), ciò si verifica molto più difficilmente per importi elevati o per l’intera economia. In questi ultimi casi, i valori del moltiplicatore tendono ad essere notevolmente più bassi.
Vi sono varie spiegazioni per questo fenomeno: dal lato dell’offerta, le imprese, di fronte ad un repentino aumento di domanda, possono trovare più conveniente aumentare i prezzi invece di espandere la produzione (e ciò in particolare se i costi medi di breve periodo sono crescenti e se l’elasticità della domanda è inferiore ad uno).
Dal lato della domanda, non vi è garanzia che le persone spendano subito il maggior reddito disponibile in base alla propensione al consumo (che costituisce un valore medio di tendenze diverse). Ciò vale non solo per i redditi più elevati, che tendono ad avere una propensione al consumo minore della media, ma anche per quelli più bassi. In quest’ultimo caso, infatti, è probabile che le maggiori somme disponibili siano destinate al pagamento di debiti pregressi.
Se quindi, in seguito ad una politica supply side, il PIL aumenta in modo modesto, risulta evidente che una tale politica, comportando un notevole aumento del disavanzo di bilancio, può solo peggiorare la situazione.
Ad esempio, se il PIL aumentasse a 195, l’incremento del disavanzo sarebbe uguale a,

5. [(195*0,45) – (192*0,55) = 87,75 – 105,6 = -17,85

È quello che è avvenuto, con qualche variante locale, con le politiche reaganiane e berlusconiane, dove gli elevati disavanzi di bilancio hanno aumentato il carico degli interessi sul debito pubblico ed alimentato la “finanziarizzazione” del sistema economico. Situazione che è poi “esplosa” con la crisi del 2008. Ma, nonostante tali evidenze empiriche, e la semplice evidenza teorica dell’inconsistenza di tali politiche, si fa fatica ad abbandonare la chimera che basta ridurre la tassazione per riavviare l’economia.
Dimenticando che i problemi economici hanno radici ben più strutturali, che hanno qualcosa a che vedere con le contraddizioni del nostro modello di sviluppo.
Una soluzione più realistica sarebbe ridurre, ove possibile, la tassazione per le attività produttive (in particolare per le PMI), aumentare la progressività dell’imposta sul reddito, tassare i capitali improduttivi, diminuire i tassi di interesse reale, rendere efficiente ed “accountable” la spesa pubblica e metterla al servizio di uno sviluppo economico equo e sostenibile.