di Giuseppe Ardizzone
La nuova politica americana, portata avanti dal Presidente Trump, e l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa stanno di fatto rilanciando la prospettiva di una maggiore integrazione europea.
Dopo il recente incontro del G7 a Taormina è sembrato sempre più chiaro che l’Europa deve poter sviluppare un suo ruolo autonomo e comune nel panorama internazionale. Ha ragione la Signora Merkel quando pensa che l’ Europa debba contare su se stessa e pertanto, inevitabilmente, si darà maggior peso alla difesa comune, alla gestione comune dei rapporti internazionali e si dovrà affrontare insieme la questione dell’instabilità del Medio Oriente e del Continente Africano che riversano milioni di persone nel Mediterraneo , verso le coste europee, nella speranza di una vita più degna di essere vissuta.
All’interno di questo possibile quadro evolutivo, ritengo che paesi come l’Italia e la Spagna, nonostante i loro problemi , possano inserirsi da subito nel nucleo principale dei paesi interessati a questo progetto, proprio per una relativa comunanza d’interessi con la Francia di Macron.
Sullo sfondo del nuovo assetto internazionale, sembra poi profilarsi un importante ruolo per la Cina , che si è appena fatta promotrice di un grande progetto di sviluppo con la sua proposta della “Via delle seta” e con la sua volontà d’investire ca 800 MM di dollari nelle necessarie infrastrutture.
L’asse Cina- Europa può diventare l’immagine del nostro futuro e può davvero rappresentare la speranza di uscire vincenti da un periodo tanto oscuro come quello attuale. C’è da dire ancora che la “via della seta” può ragionevolmente entrare in Europa anche per via marittima attraverso il territorio Italiano ed i suoi porti, nonostante quello di Atene, dopo la recente acquisizione cinese, sia in “pole position”.
Le nostre società hanno bisogno di una nuova spinta di civiltà non solo riuscendo ad affrontare in maniera positiva e vincente la globalizzazione dell’intero sistema economico, ma affrontandone i limiti ed adottando le adeguate misure per superarli.
Di certo non è la riedizione della guerra commerciale, che tristemente negli anni trenta del secolo scorso fu la deriva in cui sfociò la “grande depressione”, la possibile soluzione.
Non sono i dazi indiscriminati che possono proteggerci; tuttavia, dovremmo, come Europa insieme a al G20 ed ai paesi più consapevoli, metterci d’accordo perché sia il WTO sia i vari trattati commerciali fra continenti pongano delle condizioni e delle possibili sanzioni nei confronti di chi si oppone al rispetto del clima, ai diritti umani e del lavoro . Su questo bisognerebbe che vi fosse una maggiore iniziativa internazionale da parte delle organizzazioni del mondo del lavoro stabilendo accordi e iniziative di lotta comuni anche sul piano internazionale.
La seconda questione urgente è quella di ampliare e non di ridurre il welfare, proteggendo anche categorie di piccoli imprenditori e settori di lavoro , messi in crisi dal processo di globalizzazione per consentire anche a loro una possibilità di reinserimento lavorativo.
Il nuovo welfare deve anche rispondere alla maggiore richiesta di flessibilità del lavoro. Essa non deve pesare sul singolo lavoratore ma sulla fiscalità generale, che deve accompagnare il singolo lavoratore nel suo periodo di disoccupazione, anche di lunga durata, verso il reintegro in una condizione lavorativa.
La destabilizzazione che vivono le nostre moderne società, in cui le differenze sociali aumentano e minano la stessa possibilità di convivenza toccando anche i ceti medi, costituisce poi l’altra grande sfida che abbiamo davanti .
Risuonano forti nel silenzio di molti , su questo tema, le parole semplici da Papa Francesco : ” non dobbiamo dare solo assistenza e sussidi, ma lavoro a tutti, per dare dignità e cittadinanza “.
Non posiamo pensare che questo possa avvenire solo con la crescita economica ( peraltro necessaria), ma dividendo oggi e subito le opportunità di lavoro esistenti in maniera più equa e generale per tutti.
Creando lavoro a cura della funzione pubblica.
Distribuendo, allo stesso modo e con differenze molto più contenute, i redditi del lavoro e dell’impresa, utilizzando come equilibratore lo strumento fiscale.
Riducendo adeguatamente la fetta destinata alla remunerazione della finanza.