Nel dibattito sul socialismo vi è un aspetto nodale ancora fonte di notevoli divisioni: il rapporto tra socialismo e democrazia.

(I) In base ad una prima concezione, la democrazia politica borghese è solo un inganno per i lavoratori, perché non risolve le disuguaglianze di fondo derivanti dal potere del capitale. Solo quindi una rivoluzione che instauri una “dittatura del proletariato” può porre le basi per un’uguaglianza sostanziale. In questa fase, le decisioni sono prese dai vertici del partito unico e tutti i lavoratori devono attenersi. Chi dissente (o è sospettato di dissentire) viene considerato un contro-rivoluzionario, ed è quindi esposto a conseguenze di ogni tipo. Che dire di questo sistema? Primo, è molto dubbio che sia conforme allo spirito della teoria Marxista che considera, ad esempio nel Manifesto del Partito Comunista, la democrazia sostanziale come l’essenza del socialismo. Secondo, non sembra compatibile nemmeno con la posizione di Lenin: infatti, se è vero che egli enfatizzava l’importanza della disciplina di partito nella fase rivoluzionaria, è anche vero che, (a) considerava i soviet come l’istituzione di base per l’espressione della volontà dei lavoratori; (b) sosteneva, seppur nell’alveo dell’unità del partito, l’attività dei sindacati come strumento centrale per esprimere le istanze dei lavoratori; e, forse più importante di tutto, (c) intendeva adottare il metodo della Comune di Parigi nella nomina dei funzionari pubblici: ossia incarichi temporanei, verificabili nei risultati, revocabili, e con retribuzione pari a quella degli operai. In questo senso, Lenin era acutamente consapevole ─ ad esempio, in “Stato e Rivoluzione” ─ dei pericoli della degenerazione burocratica (ed infatti, il sistema della Comune non si è mai lontanamente realizzato né in Russia né in nessun altro Paese del socialismo reale). Il socialismo autoritario, quindi, se può essere necessario in una fase rivoluzionaria, tende, se diventa prassi normale, a realizzare non una “dittatura del proletariato”, ma una “dittatura sul proletariato” da parte della burocrazia del partito. Ovviamente, sono state realizzate in alcuni casi importanti politiche sociali, ma i gravi limiti richiamati hanno poi determinato il collasso di quei regimi.

(II) Il socialismo democratico sembra molto più promettente. Se, infatti, la democrazia politica non basta a ridurre le disuguaglianze, la soluzione non è abolirla ma rafforzarla. Ossia, ─ come osservato, ad esempio, da Sidney e Beatrice Webb* ─ riconoscendone il carattere molteplice. Così, è necessario che vi sia democrazia e partecipazione, oltre che nel voto politico, nella sfera della famiglia, del lavoro, dei partiti e dei sindacati, e delle comunità locali. Questo fenomeno tende a diventare ancora più rilevante nella fase del “capitalismo organizzato”. Il seguente passo* di Rudolf Hilferding esprime bene questi concetti ed è interessante anche per il periodo attuale, “Le precedenti forme del capitale industriale, del capitale commerciale e del capitale bancario, che prima erano separate tendono ad unificarsi nella forma del capitale finanziario. Ciò significa il passaggio dal capitalismo della libera concorrenza al capitalismo organizzato.”

Il capitalismo organizzato implica un crescente intervento pubblico nell’economia. Come osservato da vari esponenti del socialismo, e delle teorie keynesiane ed istituzionaliste, l’intervento pubblico nell’economia svolge, anche nei Paesi più liberisti, funzioni essenziali per lo sviluppo del sistema: (i) regolazione dei mercati; (ii) fornire credito, attraverso il sistema bancario, alle imprese; (iii) istituire gli ammortizzatori sociali per garantire la sopravvivenza dell’economia di mercato (il double movement di Karl Polanyi); (iv) creare domanda effettiva per accrescere il PIL ed i profitti delle imprese. Nel capitalismo organizzato, però, anche se vi sono varie forme di “stato sociale” ed embrioni di partecipazione, le redini del comando sono quasi tutte in mano alle élites pubbliche e private (e tale è ancora la situazione attuale). Per passare dal capitalismo organizzato alla democrazia economica ─ ossia la base del socialismo democratico ─ diventa necessario promuovere una migliore partecipazione dei lavoratori. Ma come realizzare quest’obiettivo? Lo snodo principale in tal senso consiste nel promuovere l’accesso delle classi disagiate agli strumenti della conoscenza. Nelle parole di Hilferding*, “Durante questo sviluppo, la classe dei produttori conquista innanzitutto quella capacità e quella coscienza della responsabilità che la abilitano alla partecipazione crescente alla direzione della produzione. Un mutamente psicologico è il presupposto necessario della democrazia economica. Esso richiede, oltre all’esperienza che scaturisce dalla lotta stessa, una parallela e consapevole opera di educazione….[infatti]….la differenziazione sociale nasconde in sé non soltanto la differenza nel possesso ma anche la differenza nella cultura e nel sapere, nella possibilità stessa di darsi una formazione culturale….il motto coniato dagli intellettuali della Fabian Society, we must educate our rulers, «dobbiamo educare i nostri governanti», deve essere attuato senza la sua sfumatura alquanto autoritaria; noi dobbiamo educarci al governo del processo di produzione della società.”

In queste dinamiche, la riduzione dell’orario di lavoro e la meccanizzazione dei lavori più pesanti renderanno possibile il superamento sempre più completo della distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Ossia la realizzazione della “società senza classi” auspicata da Marx, Engels, Lenin, M.Adler, O.Bauer, G.D.H.Cole, R.HIlferding, S. e B.Webb ed altri esponenti del socialismo democratico.

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* S.Webb e B.Webb (1920), A Constitution for the Socialist Commonwealth of Great Britain, London, Longmans, Green and Co.

*R.Hilferding “Probleme der Zeit” (1924), in Die Gesellschaft. Internationale Revue für Sozialismus und Politik, vol.I (1): 1-8. Quotazioni in italiano tratte da “Capitalismo Organizzato”, in A.Salsano (a cura di) (1982), Antologia del Pensiero Socialista, Bari (IT), Laterza, vol IV, pp.551-558.