Si è notato nei contributi precedenti l’inefficienza e l’alienazione dello statalismo e del neo-liberismo e come la sinistra oscilli incessantemente tra i due, senza riuscire a trovare una terza via che coniughi libertà e giustizia sociale. Tali aspetti coesistono, in forma tendenzialmente inconscia e dissociata (una sorta di doppia personalità), spesso nella stessa persona e nelle stesse istituzioni. Consideriamo due esempi significativi ed interrelati.

(I) Nel primo, Stalin – che sembra incarnare l’espressione di un socialismo autoritario ma egualitario – afferma però in più riprese che l’uguaglianza “è un’invenzione piccolo borghese”. Nelle sue parole,

“A differenza dell’artel [un tipo di kolchoz a gestione in parte privatistica] dove vengono socializzati soltanto i mezzi di produzione, nelle comuni si socializzavano, fino a questi ultimi tempi, non soli i mezzi di produzione ma anche tutto ciò che è destinato all’uso personale o familiare di ogni membro della comune….ciò vuol dire che nelle comuni gli interessi personali quotidiani degli iscritti, invece di essere tenuti presenti e coordinati con gli interessi collettivi, erano soffocati da questi ultimi ai fini di un egualitarismo piccolo-borghese….Il marxismo parte dal presupposto che i gusti e i bisogni degli uomini, sia nel periodo del socialismo che nel periodo del comunismo, non sono e non possono essere pari e identici né per qualità né per quantità….Tirarne la conclusione che il socialismo esige l’egualitarismo, il livellamento, il pareggiamento dei bisogni dei membri della società, il livellamento dei loro gusti e della loro vita personale, tirarne la conclusione che secondo i marxisti tutti devono vestirsi allo stesso modo e mangiare lo stesso cibo e nella stessa quantità, significherebbe dire delle cose scipite e calunniare il marxismo. E’ ora di comprendere che il marxismo è nemico dell’egualitarismo.”, Stalin, “Su Socialismo, Egualitarismo e Bisogni”, Rapporto al XVII congresso del Partito sull’attività del Comitato Centrale del Partito comunista dell’URSS, pronunciato il 26 gennaio del 1934, in A.Salsano (a cura di) Antologia del Pensiero Socialista, vol.5, tomo primo, (pp.48, 51).

Siamo ovviamente d’accordo che il socialismo ed il comunismo non implichino un astratto egualitarismo. Il punto debole del passo di Stalin risiede nella circostanza che, nel sottolineare la diversità dei bisogni (e quindi dei redditi) lascia in ombra con quali criteri tali differenziazioni dovrebbero avvenire. Ciò appare da altri passi del rapporto citato dove, parlando della necessità di istituire l’artel per aumentare la produzione agricola, ritiene che siano necessari incentivi economici e disuguaglianze per favorire lo sviluppo economico. Vi è quindi, almeno in alcune sfere, un’accettazione acritica del “libero mercato”, che preclude l’analisi della natura istituzionale ed endogena del mercato, e del ruolo delle motivazioni nello sviluppo economico. Lo stesso vale ovviamente per le differenze retributive del settore pubblico, i cui termini sono decisi in modo autocratico dai vertici del partito.

(II) Un altro caso eclatante è quello del nuovo corso cinese. Il suo sviluppo basato largamente sul neo-liberismo ha abbagliato i più anche nella sinistra, ed è mancata una capacità di analizzare criticamente il fenomeno. Se si osa criticare quel modello si dice che la Cina sta crescendo molto e che è diventata la seconda potenza economica mondiale.

Sul primo punto, a parte che la crescita sta rallentando, vi è anche il sospetto di vari osservatori che i dati possano essere gonfiati. Sul secondo aspetto, ciò può essere spiegato, a parità di produttività, dall’elevata popolazione. A questo riguardo, sembra importante chiarire un importante equivoco. Si parla spesso in termini apologetici, anche a sinistra, della novità del nuovo corso cinese, che consiste nell’accoppiata intervento pubblico/libero mercato. In realtà tale connubio non rappresenta affatto una novità. Come notato da vari autori, specialmente nel campo dell’economia istituzionale, il mercato non è un meccanismo astratto ma un’istituzione creata e mantenuta da interventi pubblici. Oltretutto, nei Paesi sviluppati, a causa della crescente complessità del sistema, tale intervento tende ad essere sempre più articolato e pervasivo. In questo contesto, siamo in presenza non di un “capitalismo puro” ma di un’economia “mista o concertata”, caratterizzata da un complesso intreccio ─ tra le istituzioni e nelle stesse istituzioni ─ di azione pubblica e privata.

In questo senso, il neo-liberismo non significa assenza di intervento pubblico ma orientamento di tale intervento ─ e nascosto dalla retorica del “libero mercato” ─ a favore dei gruppi più potenti. Ad esempio, gli USA hanno esaltato e promosso il neo-liberismo in Cina finché gli è convenuto, se gli interessi cambiano si passa repentinamente al protezionismo trumpista.
Nel caso della Cina (e degli altri paesi emergenti), il punto è che una crescita basata sulle esportazioni a basso costo di manodopera ─ ossia pienamente integrata nel circuito capitalistico ─ porta con sé, per dirla con Karl, i germi delle proprie contraddizioni, che stanno esplodendo.

Aumento delle diseguaglianze, congestione urbana, specializzazione forzata in prodotti a basso valore aggiunto, sovrapproduzione ed eccesso di capacità produttiva, sfruttamento del lavoro anche di donne e bambini, grave inquinamento, sono solo alcuni di questi aspetti, il cui effetto è di ritardare uno sviluppo equilibrato del capitale umano e sociale in Cina. Ciò è aggravato dalla mancanza di democrazia e trasparenza, dalla scarsa circolazione delle informazioni, e dalle violazioni dei diritti umani.

Insomma, senza la miscela del neo-liberismo e dello statalismo, la Cina sarebbe cresciuta il doppio in qualità e quantità. Ovviamente gli aspetti positivi vanno riconosciuti e rafforzati. In questo senso, è paradossale osservare che un’analisi critica del modello di sviluppo cinese non proviene dall’occidente ma ─ pur tra varie contraddizioni e nei limiti del dibattito di un’élite dominante ─ dalla stessa Cina, dove lentamente stanno imboccando una strada di “economia sociale di mercato” sul modello tedesco-scandinavo. Aspetti centrali di questo nuovo corso sono un’effettiva valorizzazione e partecipazione dei lavoratori in una prospettiva di economia sostenibile. Nella misura in cui ciò si realizza (e siamo ancora agli inizi), può essere considerato un primo passo nella direzione di un vero socialismo.