Se Galileo fu il padre del metodo sperimentale, Ipazia di Alessandria ne fu forse la madre ma 1200 anni prima di lui. Era una donna pagana, nemica di ogni pregiudizio e di ogni fondamentalismo e fu assassinata e dilaniata dai fondamentalisti. È stata una matematica, astronoma e filosofa rappresentante della filosofia neo-platonica. Ipazia era reputata grande insegnante e saggia consigliera. Lei è la prima matematica donna di cui si abbia notizia nella storia. La sua uccisione l’ha resa una martire della libertà di pensiero.
Premessa storica
Alessandria d’Egitto per tutta l’antichità fu un prestigioso centro culturale grazie alle istituzioni del Museion e della celebre Biblioteca di Alessandria, la più grande e ricca biblioteca del mondo antico. Per tutta l’epoca ellenistica la popolazione restò suddivisa etnicamente tra greco-macedoni, ebrei ed egiziani, con leggi, religioni e costumi differenziati.
L’età ellenistica si fa convenzionalmente iniziare con il 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno e terminare con la morte dell’ultima sovrana ellenistica, Cleopatra e con la conquista romana del Regno tolemaico d’Egitto (battaglia di Azio del 31 a.C.) da parte di Ottaviano. L‘Egitto venne annesso a Roma, come provincia imperiale, governata direttamente da incaricati dell’imperatore. La città divenne pertanto sede del prefetto d’Egitto. In quest’epoca la città doveva raggiungere una popolazione di 300.000 abitanti liberi, a cui dovevano aggiungersi gli schiavi. Era la seconda città dell’Impero per numero d’abitanti.

La comunità cristiana di Alessandria d’Egitto sorse nel I secolo quando la città venne interessata dalla predicazione di Marco evangelista regnante a Roma l’imperatore Nerone.
Con l’avvento del Cristianesimo le dispute religiose si acuirono tanto più vivamente in Alessandria, che era un grandioso emporio del commercio orientale, cui convenivano per una ragione o per l’altra, persone dai più lontani paesi. Qui avevano avuto vigore e sviluppo le scuole filosofiche greche e le varie sette religiose continuavano sotto altra forma quel medesimo indirizzo di ricerca speculativa e trascendentale. Non sempre però si trattava di dispute solo intellettuali tanto che Alessandria fu per più secoli teatro di lotte sanguinose.
La città, per la sua importanza urbana e geografica divenne in breve uno dei principali centri di diffusione del Cristianesimo. Per rafforzare l’ortodossia, minacciata dal diffondersi delle credenze eterodosse, alla fine del secolo il filosofo e teologo siciliano Panteno (San Panteno) fondò la “Scuola catechetica di Alessandria“. Gli succedettero Clemente Alessandrino e, attorno al 203, Origene. Dopo il saccheggio di Alessandria del 215, da parte delle truppe dell’imperatore Caracalla, a capo della scuola teologica venne posto Eraclio, il quale poco tempo dopo divenne vescovo della città. A partire dal suo episcopato (231–248) i vescovi alessandrini presero a portare il titolo di Papa, dal greco pappas che vuol dire “padre”.
Agli inizi del IV secolo un sacerdote di Alessandria, Ario, iniziò a predicare la subordinazione della persona del Figlio a quella del Padre, all’interno della Trinità. Nonostante la scomunica pronunciata contro di lui dal patriarca Pietro I, Ario proseguì nella predicazione delle proprie idee ottenendo la riammissione alla comunione da parte del nuovo Patriarca Achilla. Il Patriarca Alessandro convocò nel 318 un sinodo nel corso del quale la dottrina ariana venne condannata, spingendo Ario a fuggire a Costantinopoli. Il Concilio di Nicea del 325, presieduto dallo stesso imperatore Costantino, condannò l’arianesimo come eresia, che continuò tuttavia a prosperare soprattutto presso i popoli germanici.
Strenuo nemico dell’arianesimo fu il patriarca Atanasio. L’imperatore Costanzo II, però, sposò le tesi di Ario, tacciando di eresia il patriarca Atanasio. Il concilio di Antiochia nominò al suo posto l’ariano Gregorio di Cappadocia. Tuttavia in Occidente regnava Costante I, fratello minore di Costanzo, il quale, in accordo con papa Giulio I, riunì nel 343 il concilio di Sardica, dal quale Atanasio fu riabilitato, e potè rientrare ad Alessandria nel 346. Ma quando morì Costante, Costanzo rimase unico imperatore e perseguì Atanasio e gli altri sostenitori del credo niceno. Nel 357 il patriarca di Alessandria fu costretto a fuggire nuovamente dalla città, riparando nel deserto.
Fu nominato vescovo l’ariano Giorgio di Alessandria. Questi si diede ad accusare molti suoi nemici presso l’imperatore, causando varie turbolenze. La più grave si ebbe quando i pagani furono accusati di essere responsabili di sacrifici umani che si erano svolti nel Mitreo. I pagani, irruppero contro i cristiani e ne nacque una lotta spietata con molte vittime da entrambe le parti. Giorgio, l’istigatore delle violenze, fu imprigionato ma dopo ventiquattro giorni il popolo irruppe nel carcere, lo prese, lo portò al ludibrio per le vie legato ad un cammello ed infine lo gettò sopra un rogo. Atanasio poteva così rientrare nella sua sede.
L’imperatore si indignò molto per l’assassinio di Giorgio; scrisse una lettera ai cittadini di Alessandria, rimproverando la loro violenza nei termini più forti. La lettera dell’imperatore attribuiva la colpa alla popolazione, piuttosto che ad un gruppo particolare. Giorgio era in quel momento, ed era stato in precedenza. inviso a tutte le fazioni, il che è sufficiente per giustificare la bruciante indignazione della moltitudine contro di lui.
Un pronunciamento militare nel 361 e la contemporanea morte del cugino Costanzo II consegnarono l’impero a Flavio Claudio Giuliano, detto Giuliano l’Apostata dai cristiani. Fu l’ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tentò, senza successo, di riformare e di restaurare la religione romana. Nel suo regno, durato fino al 363, non ci furono comunque mai persecuzioni vilente contro i cristiani e venne praticata la tolleranza nei confronti di tutte le religioni, comprese le diverse dottrine cristiane e verso l’ebraismo. Tuttavia impedì con un editto ai maestri cristiani di insegnare nelle scuole pubbliche.
Ad Alessandria, morto Atanasio nel 373, il successore Pietro II si trovò ad affrontare il risveglio delle pratiche e delle filosofie pagane, e gli ariani sostenuti dal nuovo imperatore Valente.
La definitiva sconfitta degli ariani giunse in seguito all’emanazione dell’Editto di Tessalonica dell’anno 380, con cui gli imperatori Teodosio I, Graziano e Valentiniano II trasformavano il cristianesimo in religione di Stato, decidendo al contempo di porre un definitivo ordine alla nuova religione dell’Impero. Era Patriarca di Alessandria Timoteo I (380–385).
Con il nuovo status di unica religione lecita, i cristiani iniziarono a manifestare ovunque insofferenza verso gli antichi culti pagani, come avvenne nella stessa Alessandria. I decreti teodosiani che proibivano i sacrifici e proibivano il culto presso i templi pagani non furono infatti accolti benevolmente dai pagani, che rappresentavano ancora la maggioranza degli abitanti dell’Impero. Si arrivò a vere e proprie occupazioni armate dei luoghi di culto che si risolsero con l’intervento dell’esercito imperiale cristiano, e con devastazioni, distruzioni di statue e templi da parte dei monaci cristiani e di fanatici.
Fu in questo clima che divenne arcivescovo della città di Alessandria, Teofilo. Teofilo invase quel medesimo Mitreo cui si erano appuntate le attenzioni di Giorgio, penetrò nei recessi, espose al pubblico ludibrio gli oggetti del culto. Si riaccese la lotta. Teofilo si rivolse all‘imperatore. Questi si arrese alle insistenze sue ed a lui stesso diede l’incarico di distruggere gli ultimi templi pagani. Dopo aver reagito scontrandosi armati contro i cristiani, i pagani occuparono il tempio di Serapide, il principale tempio della città, pronti a resistere all’assedio da parte dalla guarnigione imperiale e dei Cristiani guidati da Teofilo. Capo dei Pagani era il filosofo Olimpio che esortava i suoi a morire piuttosto che rinnegare la fede dei loro padri. Teofllo si avventò allora contro quel tempio e lo ridusse un macchio di cenere. Il giorno prima della sua distruzione Olimpio fuggì in Italia.
Quando nel 395, alla morte di Teodosio, l’Impero venne definitivamente diviso, Alessandria ricadde nella giurisdizione dell’Impero d’Oriente e dell’imperatore Arcadio. L’imperatore nel 402 decise di sostenere il Sinodo della quercia (da una località presso Calcedone in Bitinia) che sotto la guida di Teofilo decretò la deposizione del vescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, inviso per i suoi modi rigidamente ortodossi ed il suo stile di vita modesto. In risposta a quest’atto, papa Innocenzo I, sostenuto a sua volta dall’Imperatore d’Occidente Onorio, ruppe la comunione con Costantinopoli, Alessandria e le diocesi orientali che avevano accettato la deposizione di Giovanni Crisostomo.
Il contesto storico della vicenda di Ipazia

Nel 412, salì sulla sedia episcopale di Alessandria il nipote di Teofilo, Cirillo (San Cirillo). Questi si adoperò per rendere il potere dell’episcopato più forte di quanto non fosse stato al tempo di Teofilo, nel senso che con Cirillo la carica episcopale di Alessandria prese a dominare la cosa pubblica oltre il limite consentito all’ordine episcopale. In tal modo, tra il prefetto di Alessandria Oreste, che difendeva le proprie prerogative, e il vescovo Cirillo, che intendeva estendere i suoi poteri, nacque un conflitto politico, anche se Cirillo e i suoi sostenitori tendevano a porre la questione nei termini di una lotta religiosa tra paganesimo (ed ebraismo) e cristianesimo. Oreste era un cristiano e prima di assumere la sua magistratura ad Alessandria d’Egitto si era fatto battezzare a Costantinopoli dal patriarca Attico.
Cirillo fu uomo dì straordinarie attitudini al comando. Abile oratore, con la parola sapeva conquistare gli spiriti e renderli docili al suo volere. Si presentava come colui che doveva sradicare le male piante del paganesimo e dell’eresia, e di tutto ciò che faceva concorrenza al Cristianesimo, anche con mezzi spregiudicati e violenti. Ma il suo fine ultimo era quello di erodere il potere di coloro che lo esercitavano per conto dell’imperatore e condizionare il potere dello stato oltre il limite consentito alla sfera sacerdotale.
La sua prima impresa fu contro la setta dei Novaziani, dei quali egli proibì il culto, depredò la suppellettile sacra, perseguitò i proseliti.
Si rivolse poi contro gli Ebrei, concorrenti dei cristiani sia in campo religioso che in quello economico. Gli Ebrei erano divenuti in Alessandria potenti per numero e per ricchezza. Dai Cesari e dai Tolomei avevano ottenuto speciali privilegi e sin dalla fondazione della città, essi avevano goduto la libertà del culto. Nel 414, durante un’assemblea popolare, alcuni ebrei denunciarono al prefetto Oreste il maestro Ierace, un sostenitore e collaboratore del vescovo Cirillo, quale seminatore di discordie. Ierace fu arrestato e torturato, al che Cirillo reagì minacciando i capi della comunità ebraica, e gli ebrei reagirono a loro volta massacrando un certo numero di cristiani. La reazione di Cirillo fu durissima: l’intera comunità ebraica fu cacciata dalla città, i loro averi furono confiscati e le sinagoghe distrutte. Oreste s’indignò molto per l’accaduto ma non poté prendere provvedimenti contro Cirillo, poiché per la costituzione del 4 febbraio 384 il clero veniva a essere soggetto al solo foro ecclesiastico.
L’autorità civile non era quindi in grado di mettere freno ai disordini, né di impedire gli eccidi. Il prefetto Oreste faceva regolarmente rapporto all’imperatore d’Oriente, ma egli stesso sapeva che nessuna azione sarebbe stata intentata contro il vescovo potentissimo, e che i ministri dell’imperatore, per paura del peggio, avrebbero nicchiato. Cosi tutto passava impunito e tale impunità accresceva di giorno in giorno i disordini e il potere di Cirillo.
Il vescovo aveva al suo servizio centinaia di monaci parabolani provenienti dai monti della Nitria. Costoro erano membri di una compagnia che in origine si dedicavano alla cura dei malati, specie degli appestati, e alla sepoltura dei morti, ma che nel tempo, a causa dei privilegi ottenuti, avevano acquistato un potere che travalicava le loro funzioni e del quale spesso abusavano. Di fatto costituivano un vero e proprio corpo di polizia al servizio dei vescovi di Alessandria.
La sfida lanciata da Cirillo contro la potestà civile del prefetto ebbe una dimostrazione in un episodio di violenza diretto contro Oreste che vide protagonisti proprio i Parabolani.
Così ne scrive Socrate Scolastico:
Alcuni dei monaci che abitavano le montagne di Nitria, di una disposizione molto focosa, che Teofilo qualche tempo prima aveva ingiustamente armato contro Dioscoro e i suoi fratelli, essendo di nuovo presi da ardente zelo erano decisi a combattere a favore di Cirillo. Circa cinquecento di loro quindi abbandonarono i loro monasteri, entrarono in città; e incontrando il prefetto nel suo carro, lo chiamavano un idolatra pagano e gli applicavano molti altri epiteti abusivi. Supponendo che questa fosse una trappola posta a lui da Cirillo, esclamò che era cristiano e che era stato battezzato da Attico il vescovo di Costantinopoli. I monaci davano poca attenzione alle sue proteste, e uno di loro chiamato Ammonio gettò una pietra a Oreste che lo colpì sulla testa e lo coprì con il sangue che scorreva dalla ferita. Tutte le guardie, con poche eccezioni, fuggirono, immergerndosi nella folla, alcuni in una direzione e alcuni in un altra, temendo di essere lapidati a morte. Nel frattempo il popolo di Alessandria corse in soccorso del governatore e mise in fuga il resto dei monaci; ma avendo catturato Ammonio, lo consegnarono al prefetto. Immediatamente questi lo mise pubblicamente alla tortura, che fu inflitta con tale severità che il prigioniero morì sotto gli effetti di essa. Oreste non molto tempo dopo diede un resoconto agli imperatori di ciò che era accaduto. Cirillo, d’altra parte, trasmise la sua versione della questione all’imperatore: e facendo sì che il corpo di Ammonio fosse depositato in una certa chiesa, gli diede il nuovo nome di Thaumasio (martire), arruolandolo tra i martiri ed elogiando la sua magnanimità in chiesa come quella di uno che era caduto in un conflitto in difesa della fede. Ma i più sobri, benché cristiani, non accettavano la stima pregiudiziale di Cirillo verso di lui; poiché sapevano bene che aveva subito la punizione a causa della sua avventatezza, e che non aveva perso la vita sotto tortura perché avrebbe negato Cristo. E lo stesso Cirillo, consapevole di ciò, soffrì del ricordo della circostanza e volle gradualmente cancellarla con il silenzio. Ma l’animosità tra Cirillo e Oreste non si è in alcun modo attenuata a questo punto, ma è stata ravvivata da un simile evento.
La vita di Ipazia
Ipazia nacque ad Alessandria, alcuni decenni prima che questa città diventasse parte del nuovo Impero romano d’Oriente. Ella era figlia di Teone, filosofo e geometra alessandrino, che predisse l’eclisse solare del 15 giugno 364 e quella lunare del 26 novembre e che fece una nuova edizione della Geometria Euclidea, ed un commentario sull’Almagesto di Tolomeo.
Ipazia imparò alla scuola del padre le discipline matematiche, ma la figlia superò il padre per l’altezza dell’ingegno e per la vastità della cultura e ben presto si diffuse la sua fama tanto da esser celebrata maestra. Matematica, astronoma, Ipazia aveva tutti i titoli per succedere al padre nell’insegnamento di queste discipline nella comunità alessandrina. Anche se il vecchio Museo non esisteva più da quando era andato distrutto al tempo della guerra condotta da Aureliano, la tradizione dell’insegnamento delle scienze mediche e della matematica era però continuata ad Alessandria, mantenendo intatto l’antico prestigio, e Ipazia, già almeno dal 393, era a capo della Scuola alessandrina , come ricorda il suo allievo Sinesio, giunto ad Alessandria da Cirene per seguirvi i suoi corsi. Sinesio era cristiano e diventerà vescovo di Tolemaide di Libia.
Le fonti antiche le attribuiscono sicuramente un commentario a un’opera di Diofanto di Alessandria, che dovrebbe essere, secondo gli interpreti, l’Arithmetica, e un commentario alle Coniche di Apollonio di Perga. È dubbio se ella abbia composto anche un’opera originale sull’astronomia, un Canone astronomico.
È noto che Ipazia ha corretto il testo di Almagesto di Caludio Tolomeo. Il suo contributo si ritiene essere stato un miglioramento degli algoritmi necessari per il calcolo astronomico.
La mancanza di ogni suo scritto rende problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria e nella filosofia. Dobbiamo attenerci alle testimonianze del suo allievo Sinesio del quale sono rimaste alcune lettere scritte alla sua maestra e citazioni di lei in altre sue lettere.
Sinesio descrive l’astrolabio da lui fatto costruire e “concepito sulla base di quanto mi insegnò la mia veneratissima maestra […] Ipparco lo aveva intuito e fu il primo a occuparsene, ma noi, se è lecito dirlo, lo abbiamo perfezionato mentre lo stesso grande Tolomeo e la divina serie dei suoi successori si erano contentati di uno strumento che servisse semplicemente da orologio notturno”.
L’astrolabio è uno strumento astronomico tramite il quale è possibile localizzare o calcolare la posizione di corpi celesti come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle. Ipazia e Teone studiarono probabilmente il Planisphaerium di Tolomeo, che descrive i calcoli necessari per costruire un astrolabio. Lo scritto di Sinesio indica che Ipazia non disegnò o costruì direttamente un astrolabio, ma ebbe il ruolo di guida nella sua costruzione da parte dello stesso Sinesio.
Sinesio riferisce anche di un idroscopio, del quale fornisce a Ipazia le istruzioni per costruirlo, allegandone una descrizione dettagliata: un tubo cilindrico avente la forma e la dimensione di un flauto che presenta degli intagli, contando i quali si può misurare il peso dei liquidi.
Altro studio attribuito da Sinesio a Ipazia è quello sull’aerometro, uno strumento che serve per determinare i gradi della rarefazione o della condensazione di un dato volume d’aria.

La sua attività non fu ristretta al solo campo scientifico, ma abbracciò tutto quel complesso di scienze naturali e morali, che gli antichi chiamavano filosofia. Sul pensiero filosofico di Ipazia occorre fare ancora riferimento principalmente agli scritti del suo allievo Sinesio, dello storico cristiano Socrate Scolastico suo contemporaneo e di Damascio, filosofo bizantino neoplatonico che alla fine del V secolo si stabilì ad Alessandria.
Dalla testimonianza di Sinesio si evince che nel suo insegnamento il posto d’onore sarebbe stato tenuto da Porfirio, allievo di Plotino e difensore del paganesimo, importante nella storia della matematica a causa della sua Vita di Pitagora e del suo Commento agli Elementi di Euclide.
Sinesio, come dimostrano le sue lettere a Ipazia e ad altri, fece parte per tutta la vita di un circolo di iniziati alessandrini, con i quali condivise i misteri della filosofia. Ipazia gli avrebbe insegnato a considerare la filosofia «uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata ricerca della verità». In una lettera inviata ad un altro discepolo così ne parla:
Abbiamo visto con i nostri occhi, abbiamo ascoltato con le nostre orecchie la signora che presiede legittimamente i misteri della filosofia.
Socrate Scolastico, scrivendo intorno al 440, indica che ad Alessandria l’unica erede del platonismo interpretato da Plotino era stata Ipazia.
Di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata introdotta da lui ma, non senza altezza d’animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche. La donna, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo.
Ipazia era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico.
Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.
Quasi un secolo dopo, anche il filosofo Damascio riprende le sue considerazioni:
Era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale della filosofia era in completa rovina, invece il suo nome sembrava ancora essere magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo.
Ipazia era pagana ma molti dei suoi discepoli erano cristiani. Le scuole di Alessandria non separavano ancora gli alunni per motivi religiosi, quindi tutte le religioni potevano cercare la saggezza con Ipazia, una saggezza nata non dal dogma, dalla magia, dall’augurio o dai sacrifici, ma solo dal pensiero.
Ipazia aveva acquisito anche un prestigio di natura politica. Il suo comportamento di insegnare nelle strade potrebbe essere stato anche un gesto di sfida. Quando Ipazia comincia a insegnare, ad Alessandria sono stati appena demoliti i templi dell’antica religione per ordine del vescovo Teofilo, una demolizione che simboleggia la volontà di distruzione di una cultura alla quale anche Ipazia appartiene e che ella è intenzionata a difendere e a diffondere.
Ma la sua attività meno pubblica si svolgeva con i suoi allievi e seguaci che costituivano una rete di affiliati attraverso la quale si esplicava la possibilità di influenzare le scelte politiche dell’élite e degli stessi vertici amministrativi di Alessandria. Il gruppo stesso di Ipazia era una elite, sia nell’educazione che nella posizione economica, e non si confondeva con i comuni “credenti” in questa o quella religione. Lo stesso Sinesio nelle sue lettere si scaglia sia contro i “mantelli bianchi” che spacciavano il paganesimo rapido presso le masse, sia contro i “mantelli neri”, i monaci zelanti che predicavano la salvezza cristiana. Per lui e per la sua maestra il percorso verso la “verità” era un percorso verso una meta che poteva essere raggiunta solo da un grande sforzo mentale ed etico.
Il risalto ottenuto da Ipazia coincide, almeno cronologicamente, con l’affermazione, prodottasi nell’Impero orientale, del movimento politico e culturale degli elleni, sostenitori tutti della tradizionale cultura greca indipendentemente dalla religione professata. La loro ascesa subì un arresto con l’avvento al potere di Augusta Pulcheria (sorella dell’imperatore Teodosio II) nel 414, per risalire, con alterna fortuna, nei decenni successivi, fino al declino avvenuto a partire dalla seconda metà del V secolo.
Notevole era pure la bellezza di Ipazia e pare sia morta vergine. Lo storico Damascio riporta che uno dei suoi studenti si era invaghito di lei. Ipazia cercò di dissuaderlo indirizzandolo alla musica, ma senza successo. Allora Ipazia un giorno gli consegnò uno dei suoi panni mestruali e, avendo mostrato il segno della generazione impura, disse: “Ragazzo, è questo ciò che ami, come vedi non c’è niente di bello”.
Uccisione di Ipazia
Il contesto in cui avviene l’omicidio di Ipazia è dunque quello di un conflitto fra Oreste e Cirillo. Secondo alcuni storici cristiani, Ipazia sarebbe stata diffamata e accusata di essere una delle cause di questo conflitto.
Riferisce infatti Socrate Scolastico:
Contro di lei si armò l’invidia. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo. Alcuni poi, spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un tal Pietro, lettore, le tesero un’imboscata mentre ritornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum, dove la spogliarono completamente e poi l’assassinarono con delle conchiglie. Dopo avere fatto il suo corpo a pezzi, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono. Questo affare portò non poco sdegno contro Cirillo e contro alla chiesa di Alessandria: infatti nulla può essere più estraneo da i seguaci degli (insegnamenti) di Cristo che uccisioni, lotte e cose del genere. Questo accadde nel mese di marzo durante la quaresima, nel quarto anno dell’episcopato di Cirillo, sotto il decimo consolato di Onorio ed il sesto di Teodosio.
In altre parole, l’omicidio di Ipazia serviva a dare una lezione e un avvertimento ai pagani che ancora occupavano alcuni posti chiave nell’amministrazione della città e che tentavano di mantenere in vita la cultura ellenica.
La versione della Suida (un’enciclopedia storica del X secolo scritta in greco bizantino riguardante l’antico mondo mediterraneo) è importante per l’ipotesi che contiene circa i moventi dello scempio e perché, a differenza delle altre fonti, attribuisce esplicitamente a Cirillo la decisione di eliminarla.
Avvenne una volta che Cirìllo vescovo della setta contraria ad Ipazia passando avanti la casa di lei, vedesse molta turba fermata innanzi alle porte e gran confusione di uomini e di cavalli: entrare gli uni, gli altri uscire, altri anche fermarsi. Ed avendo egli interrogato che cosa fosse quella moltitudine e perché si affollasse a quella casa, sentì dai suoi seguaci che si salutava allora la sapiente Ipazia e che quella era la casa di lei. Ciò udito Cirillo ne fu sì turbato nell’animo, da tramar tosto a lei la morte, scelleratissima tra tutte le morti. Mentre infatti Ipazia, secondo il solito, usciva di casa, molti uomini crudeli e selvaggi a guisa di belve, che non riconoscevano né la voce degli Dei né la giustizia degli nomini, presero la sapiente, gettando sopra la patria quest’onta e questa vergogna grandissima.
La Suida riporta anche un’altra versione dell’accaduto, tratta da Esichio, che differisce dalla precedente solo per l’intenzione di alleggerire la posizione di Cirillo attribuendo la colpa maggiore all’indole degli Alessandrini:
Ella fu dilaniata dagli Alessandrini ed il corpo di lei per ludibrio fa sparso per tutta la città. Questo le avvenne per l’invidia per l’esimia sapienza, massimamente nelle cose astronomiche; come alcuni dicono, per opera di Cirillo, come altri, per la temerità e lo spirito sedizioso innato negli Alessandrini. Molti infatti dei proprii vescovi essi così trattarono : ad es. Giorgio e Proterio.
La morte di Ipazia è citata anche dallo storico siriano Giovanni Malalas (491 – 578) nella sua Cronografia
I cittadini di Alessandria, dopo aver ricevuto incoraggiamento dal vescovo, usurparono il potere durante il suo regno e bruciarono su un mucchio di sterpi Hypatia, una famosa filosofa, di cui è molto si è detto.
L’uccisione di Ipazia fu un fatto gravissimo: per secoli, i filosofi erano stati visti come intoccabili anche durante le dimostrazioni di violenza pubblica che a volte avvenivano nelle città romane e l’assassinio di un filosofo per di più donna per mano di una folla di fanatici era profondamente pericoloso e destabilizzante. Sebbene non sia mai stata scoperta alcuna prova concreta che colleghi Cirillo all’omicidio di Ipazia, si credeva che fosse stato lui a ordinarlo, e anche se Cirillo non avesse ordinato direttamente l’omicidio, era evidente che la sua campagna diffamatoria contro Ipazia l’aveva ispirato.
Il Consiglio alessandrino si allarmò per la condotta di Cirillo e inviò un’ambasciata a Costantinopoli. I consiglieri di Teodosio II avviarono un’indagine. A Costantinopoli regnava di fatto Elia Pulcheria, sorella maggiore del minorenne Teodosio II, che era vicina alle posizioni del vescovo Cirillo (e come il vescovo fu dichiarata santa dalla Chiesa). Il caso fu archiviato, sostiene Damascio, a seguito dell’avvenuta corruzione di funzionari imperiali.
Così la Suida :
Come al solito, molti uomini feroci, veramente spregevoli, temendo né l’occhio degli dei né la vendetta degli uomini, uccisero la filosofa, procurando questo grande inquinamento e vergogna alla loro patria. E l’imperatore si sarebbe arrabbiato per questo, se Teodosio non fosse stato corrotto. Ha rimesso la pena per gli omicidi, ma ha disegnato questo marchio su se stesso e sulla sua famiglia, e la sua prole ne ha pagato il prezzo.
Anche secondo Socrate Scolastico, la corte imperiale fu corresponsabile della morte di Ipazia, non essendo intervenuta, malgrado le sollecitazioni del prefetto Oreste, a porre fine ai disordini precedenti l’omicidio.
Invero dalla corte imperiale fu emesso un editto nel 416 che, pur non toccando direttamente Cirillo, tentò di allontanare da lui i parabolani ponendoli invece sotto l’autorità di Oreste. L’editto proibiva ai parabolani di frequentare spettacoli pubblici o di entrare “nel luogo di riunione di un consiglio municipale o di un’aula di tribunale”. Regolava anche severamente il loro reclutamento limitandone il numero totale a non più di cinquecento. Due anni dopo però Cirillo rovesciò la legge e agli inizi del 420 dominava il consiglio di Alessandria.
Dalla parte di Cirillo si schiera Giovanni di Nikiu, un vescovo cristiano orientale e storico egiziano vissuto nel VII secolo, autore di una Cronaca che va da Adamo alla fine della conquista islamica dell’Egitto nella quale descrive Ipazia come una strega meritevole di punizione.
E in quei giorni apparve ad Alessandria un filosofo di sesso femminile, una pagana di nome Ipazia, e lei era dedita in ogni momento alle magie, agli astrolabi e agli strumenti musicali, e ingannò molte persone attraverso le astuzie sataniche. E il governatore della città grandemente la onorava poiché lei lo aveva stregato con le sue arti magiche. E lui smise di frequentare la chiesa come era sua abitudine. [……..] E quando vennero a sapere il luogo in cui si trovava, procedettero verso di lei e la trovarono seduta su una sedia; e dopo averla fatta scendere, la portarono alla grande chiesa, chiamata Cesarione. Ora questo era nei giorni del digiuno. E le tolsero i suoi vestiti e la trascinarono per le strade della città fino alla sua morte. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo con il fuoco. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono “il nuovo Teofilo” poiché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città.
Ipazia non aveva nessun coniuge e nessuna progenie, nessuno che potesse raccogliere e proteggere la sua eredità. Invece si innescò una reazione contro la sua intera ideologia. Ipazia, con la sua tolleranza verso gli studenti cristiani e la sua disponibilità a cooperare con i leader cristiani, aveva invano sperato che il neoplatonismo e il cristianesimo potessero coesistere pacificamente. Per contro la sua morte e l’incapacità del governo cristiano di imporre la giustizia ai suoi assassini, produsse nei futuri neoplatonici, come Damascio, un pregiudizio nei confronti dei vescovi cristiani.
Con la morte di Ipazia, anche la città di Alessandria cominciò a morire. I filosofi continuarono a frequentarla e la “scuola alessandrina” continuò sempre più silenziosamente a perfezionare il neoplatonismo pagano. Platone, Aristotele e Plotino erano ancora letti e discussi, ma l’intera città andava cambiando.
Fiorivano gli estremismi religiosi e aumentavano le tensioni etniche e il nazionalismo. I costumi cominciarono a cambiare, si cominciò a rifiutare la lingua greca e l’ellenismo di Ipazia, nonostante fosse stata la ragion d’essere, della città. Si diffondeva una nuova lingua, la lingua copta dei Cristiani d’Egitto. La vita accademica si riduceva alla compilazione e modifica di opere precedenti invece che alla creazione di nuovi pensieri e nuovi libri.
Dalle testimonianze disponibili risulta che sarebbe errato considerare Ipazia come una martire della sua fede nel paganesimo. Non c’è nulla che dimostri che lei fosse particolarmente devota alle antiche religioni o che fosse particolarmente contraria al Cristianesimo. Oltre ad avere avuto tanti discepoli cristiani, rimase in rapporto di calda amicizia con Sinesio anche dopo che questi divenne vescovo di Tolemaide di Libia. La causa della sua morte fu molto più politica che religiosa anche se ad Alessandria la lotta politica si confondeva con le differeze religiose.
La figura di Ipazia nei secoli
L’intellettuale bizantino Photios (810 / 820-893 circa) nella sua Bibliotheke include sia il racconto di Damascio su Ipazia sia quello di Socrate Scolastico. Nei suoi commenti, Photios sottolinea la grande fama di Ipazia come studiosa, ma non menziona la sua morte, forse indicando che considerava il suo lavoro accademico più significativo.
Nel 1720 il filosofo e scrittore irlandese John Toland pubblicò Hypatia or the History of a most beautiful, most virtuous, most learned and in every way accomplished lady, who was torn to pieces by the clergy of Alexandria to gratify the pride, emulation and cruelty of the archbishop commonly but undeservedly titled St Cyril (Ipazia ovvero la storia di una donna molto bella, molto virtuosa, molto istruita che fu che fu fatta a pezzi dal clero di Alessandria per gratificare l’orgoglio, la superbia e la crudeltà dell’arcivescovo, comunemente, ma senza ragione, intitolato San Cirillo).
Pr par condicio ricordiamo che a John Toland rispose poco tempo dopo l’ecclesiastico e scrittore inglese Thomas Lewis che in difesa di San Cirillo e della Chiesa Alessandrina scrisse The History of Hypatia. A most impudent School-Mistress of Alexandria. Murdered and torn to pieces by the Populace (La storia di Ipazia. Una molto impudente maestra della scuola di Alessandria. Assassinata e fatta a pezzi dal popolo).
Voltaire, nel suo Examen importante de Milord Bolingbroke ou le tombeau de fanatisme (1736) interpretò Ipazia come una credente nelle leggi della Natura razionale e nelle capacità della mente umana priva di dogmi e descrisse la sua morte come un omicidio bestiale perpetrato dai mastini seguaci di Cirillo. Più tardi, in una voce per il suo Dictionnaire philosophique (1772), ritrae Ipazia come un genio del libero pensiero e si occupa della controversia sull’eventualità che Cirillo sia responsabile della sua morte.
Denis Diderot ne parla nella Encyctopédie
Tutte le conoscenze accessibili allo spirito umano, riunite in questa donna dall’eloquenza incantatrice, ne fecero un fenomeno sorprendente, e non dico tanto per il popolo, che si meraviglia di tutto, quanto per i filosofi stessi, che è difficile stupire.
I cristiani e i pagani che ci hanno trasmesso la sua storia e le sue sventure sono concordi sulla sua bellezza, cultura, virtù; e nei loro elogi, malgrado il contrapporsi delle loro credenze, c’è tanta unanimità che sarebbe impossibile ipotizzare, confrontando i loro resoconti, quale fosse la religione di Ipazia; se non sapessimo per altra via che era pagana.
Edward Gibbon (1737 – 1794) storico, scrittore e politico inglese, fu autore tra il 1776 e il 1788 della History of the Decline and Fall of the Roman Empire nella quale evidenziò le responsabilità di Cirillo nell’assassinio di Ipazia che “ha impresso una macchia indelebile sulla personalità e la religione di Cirillo“.
Nel XIX secolo gli autori letterari europei si sono interessati alla leggenda di Ipazia nell’ambito del neo-ellenismo, un movimento che romanzava gli antichi greci e i loro valori. Diodata Saluzzo Roero nel 1827 scrisse il Poema Ipazia ovvero delle filosofie nel quale Ipazia è cristiana ed è amata dal pagano Isidoro, e proprio il rifiuto di sposarlo sarà causa della sua morte.
ll romanzo di Charles Kingsley del 1853 Hypatia ovvero Nuovi nemici con un vecchio volto è una tipica storia d’amore dell’età vittoriana con un messaggio anticattolico. Ritrae Ipazia come ” eroina indifesa, pretenziosa ed erotica “con lo “spirito di Platone e il corpo di Afrodite “. Il romanzo di Kingsley divenne molto popolare promuovendo una visione romantica di Ipazia come “l’ultima degli Elleni” e fu presto adattato per una vasta gamma di produzioni teatrali.
![]() |
![]()
|
Il romanzo ha altresì ispirato opere d’arte visiva, come nel 1885 un dipinto di Charles William Mitchell, pittore preraffaellita, che mostra un’Ipazia nuda in piedi davanti all’altare di una chiesa.
Dipinti raffiguranti Ipazia sono stati realizzati da Julius Kronberg, Alfred Seifert e altri pittori.

Nel 1843, gli autori tedeschi Soldan e Heppe nella loro Storia delle prove di stregoneria affermano che Ipazia può essere stata la prima famosa “strega” punita sotto l’autorità cristiana; sostanzialmente la prima vittima della “caccia alle streghe”.
Nel Novecento Ipazia fu adottata dalle femministe e la sua vita e morte cominciarono a essere viste alla luce del movimento per i diritti delle donne. L’autore italiano Carlo Pascal scrisse nella sua opera Figure e caratteri del 1908 che il suo omicidio era un atto anti-femminista e provocò un cambiamento nel trattamento delle donne, così come il declino della civiltà mediterranea in generale.
Dora Russell, moglie di Bertrand Russell, pubblicò un libro sulla disuguaglianza con il titolo Hypatia o Woman and Knowledge nel 1925.
Nel 1919 una scrittrice inglese pacifista, atea e libera pensatrice omonima di Ipazia, Hypatia Bradlaugh Bonner, pubblicò Christianity and conduct or The influence of religious beliefs on Morals, nel quale considera la morte di Ipazia una dimostrazione della negazione della libertà di pensiero da parte della Chiesa cristiana.
Nel 1993 la storica polacca Maria Celina Dzielska ha pubblicato Ipazia di Alessandria, una ricostruzione storica nella quale assolve Cirillo e attribuisce il movente dell’assassinio ai conflitti di natura politica allora esistenti in Alessandria.
Nel romanzo di Umberto Eco del 2002, Baudolino, l’eroe si innamora di un essere mezzo satiro e mezzo donna, che discende da un gruppo di giovani discepole di Ipazia, fuggite dopo l’omicidio della loro insegnante. Queste discepole istituirono una comunità di sole donne che “cercarono di mantenere vivo ciò che avevano appreso dalla loro maestra … [vivendo] separatamente dal mondo, per riscoprire ciò che Ipazia aveva davvero detto”.
Il romanzo di Charlotte Kramer del 2006 Holy Murder: the Death of Hypatia of Alexandria ritrae Cirillo come l’archetipo di un furfante incapace di qualsiasi azione benefica. Ipazia viene ripetutamente descritta come donna geniale, capace di umiliare Cirillo dimostrando di sapere più di lui sulle Scritture cristiane.
Il romanzo di Youssef Ziedan Azazel (2012) descrive il brutale omicidio di Ipazia attraverso gli occhi del monaco Hypa, che è testimone del fatto.
Silvia Ronchey nel libro Ipazia. La vera storia, del 2009, ritrae Ipazia come una donna straordinaria che ha pagato con la vita la resistenza a ogni dogma e l’amore per la libertà criticando tuttavia le numerose strumentalizzazioni di cui la sua vicenda è stata oggetto nei secoli.
Nel 2010 Maria Moneti Codignola ha pubblicato Ipazia muore. L’autrice descrive l’epoca nella quale Ipazia visse, segnata dallo scontro fra la civiltà ellenistica e il protocristianesimo. La fama di Ipazia suscitò l’odio del vescovo Cirillo al punto da fargli tramare la sua uccisione.
Del 2016 è Storia d’Ipazia e dell’intolleranza religiosa scritto da Stelio W. Venceslai.
Ricordiamo ancora Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo (2013) di Adriano Petta e Antonio Colavito.
Il film Agorà del 2009, diretto da Alejandro Amenábar e interpretato da Rachel Weisz nei panni di Ipazia, è una drammatizzazione fortemente romanzata degli ultimi anni di Ipazia. Il film, che ha lo scopo di criticare il fondamentalismo religioso contemporaneo, ha avuto un ampio impatto sulla concezione popolare di Ipazia. A differenza dei precedenti adattamenti, Agora enfatizza gli studi astronomici e meccanici di Ipazia piuttosto che la sua filosofia, attribuendole studi che probabilmente non coinvolsero mai la vera Ipazia. Inoltre, più di ogni altro ritratto precedente, sottolinea le restrizioni imposte alle donne dalla chiesa paleocristiana. Nel film i monaci parabolani indossano vesti che li fanno assomigliare a talebani.
Fonti principali
Carlo Pascal, Figure e Caratteri, Remo Sandron Editore, Milano, 1908
Socratis Scholastici, Historia Ecclesiastica, J.P. Migne, 1864
Chronicle of John Malalas Books VIII-XVIII, The University of Chicago Press, Chicago,1940
Diodata Saluzzo Roero, Ipazia ovvero delle filosofie, Tipografia Chiro e Mina, Torino 1827
W.S. Crawford B.D., Synesius The Hellene, Rivingtons, London 1901
Lettres de Synésius tradotte da F. Lapatz, Didier et C. Editeurs, Paris 1870
The Cronicle of John Bishop of Nikiu, tradotta da R.H. Charles, Edito da Williams and Norgate, Oxford 1916
Hypatia Bradlaugh Bonner, Christianity and Conduct, Watts & CO., London, 1919
Justine Pollard, The rise and fall of Alexandria : birthplace of the modern mind, Viking, New York 2006
A cura di Giuseppe Picciolo
Salve, molto interessante e approfondito.
"Mi piace""Mi piace"