Nuova versione luglio 2020

Come è stato notato da vari osservatori, gli eurobond possono svolgere un ruolo importante se concepiti come fondo europeo di solidarietà. Pensare però che svolgano automaticamente questo ruolo e che non possano essere invece declinati in chiave neoliberista è pura illusione. Infatti, gli eurobond furono proposti da uno dei campioni dell’austerità dei “tagli lineari” ― nientemeno che Giulio Tremonti* (e J.C.Juncker), l’ex ministro dell’economia dei governi Berlusconi.

Gli eurobond, concepiti in un quadro neoliberista, possono costituire una tenaglia molto più pericolosa del MES, che implicherebbe una pesante ristrutturazione del debito, e che colpirebbe in particolare l’Italia, con buona pace del “sovranismo” di quei governi. Infatti, se fosse passata quella linea, ci avrebbero imposto le stesse politiche adottate in Grecia, in modo ancora più draconiano e con minori margini di trattativa.

In questo senso, l’evoluzione del MES non costituisce una variabile esogena, perché dipende anche dalla nostra capacità “endogena” di modificarlo in senso progressista. Ciò che sembra fondamentale, è sganciare i criteri della sua adozione dalle politiche monetariste e neoliberiste dei paradisi fiscali olandesi, ed orientare tali criteri in base ad una prospettiva “post-Keynesiana”, molto più adatta a costruire un’economia equa e sostenibile.   

Quali politiche nel ritorno alla normalità?

Nel ritorno alla normalità, si pone la seguente questione centrale: come attuare politiche economiche capaci, ad un tempo, di realizzare gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile e di diminuire l’onere del debito pubblico. In questo senso, si chiede spesso una totale incondizionalità ma tale istanza elude il problema. Infatti, anche in una famiglia o in un gruppo di amici si attinge ad un fondo comune in base a regole implicite o esplicite.

Ciò che conta è che sia rispettata la dignità ed autonomia dei paesi, evitando quindi che siano messi sotto un’umiliante tutela, e si instauri invece “un rapporto tra pari” basato sulla fiducia e la responsabilizzazione. In queste situazioni, la condizionalità può implicare ― ad esempio in caso di elevato debito pubblico e privato*** ― una discussione ampia e pluralistica sulle diverse opzioni di intervento, con la concreta possibilità di adottare soluzioni progressiste. Ad esempio, (i) in luogo di procedere a tagli selvaggi alla spesa pubblica per i più deboli e riduzioni della tassazione per i più ricchi in un quadro di sostanziale inefficienza sia della spesa pubblica che della tassazione; si potrebbe realizzare (ii)  una spesa pubblica efficiente e finalizzata ad obiettivi economici e sociali, ed una tassazione equa, efficiente ed effettivamente progressiva per i redditi più elevati e le rendite.

Ulteriori considerazioni sul debito pubblico

In effetti, l’obiettivo rilevante non è ripagare il debito (come  notato in altri post ciò è impossibile e nemmeno auspicabile), ma renderlo sostenibile, cioè fare in modo che la sua quota sul PIL resti stabile o diminuisca gradualmente. Ciò si ottiene quando,

∆y ≥ µ(Y/D) + i con µ = (G – T) /Y

dove ∆y è il tasso di crescita del PIL, µ il disavanzo primario, D è lo stock di debito, G la spesa pubblica e T la tassazione, ed i il tasso di interesse reale. Da ciò appare con chiarezza che finché vi sarà un notevole disavanzo primario ed i tassi di interesse reale non diminuiranno abbastanza, non solo non si restituirà il debito, ma non si riuscirà nemmeno a stabilizzarlo.

Ma quali sono gli effetti dei tassi di interesse reale e del disavanzo primario sul PIL? Come evidenziato da numerosi contributi, elevati tassi di interesse reale hanno un effetto negativo sul PIL, perché diminuiscono la cd efficienza marginale del capitale, ossia il differenziale tra tassi di profitto e tassi di interesse, anche attraverso un aumento del costo del denaro per le imprese, e di “razionamento del credito” a danno delle piccole e medie imprese. E, non ultimo, alimentano la “psicologia della rendita”.
I disavanzi di bilancio hanno un effetto espansivo, perché “creano” domanda effettiva. Però, le politiche di deficit spending, sebbene preferibili alle politiche di “austerità”, hanno il grosso difetto di alimentare la spirale del debito e del pagamento degli interessi. Poiché, in base al cd teorema di Haavelmo, anche un bilancio in pareggio ha effetti espansivi, molto meglio ridurre il disavanzo di bilancio a valori dell’1%-1,5% del Pil o anche meno. In effetti, realizzare un bilancio pubblico tendenzialmente in pareggio costituisce il vero snodo**** per rendere le politiche economiche progressiste indipendenti dai diktat dell’alta finanza e dei falchi neoliberisti in ambito UE. In tale ambito, un disavanzo moderato può essere facilmente monetizzato. Tutto ciò dovrebbe essere accompagnato da un orientamento dell’attività delle banche verso il sostegno delle attività economiche e sociali sostenibili, in particolare delle piccole e medie imprese.

di Arturo Hermann

* https://st.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-12-06/leuro-salva-ebond-contro-204803_PRN.shtml?fbclid=IwAR0SeNBUx1vLd_KKlcXIPf0M-aRf52jfpkaQicSyk0ipX8DSG2_b3jc0K3k

** In questo senso, non vi è una scarsità reale di moneta se non quella creata dal super-io psicoanalitico, collegato ad un senso di colpa inconscio relativo alle fantasie avide ed aggressive “di volere tutto l’oro del mondo”, dove l’oro può simbolizzare il nutrimento e l’affetto  dei genitori.

*** Come appare dal grafico in copertina, considerando la somma del debito pubblico e privato l’Italia non è affatto tra i paesi più indebitati.**** A questo proposito, vi è un’opinione diffusa anche nel Centro-Sinistra – che spesso si richiama alla Modern Monetary Theory – che può così sintetizzarsi: “l’Italia esca dall’euro e recuperi una piena sovranità monetaria. In questo modo lo stato può svolgere appieno il ruolo di employer of last resort.” Questa opinione è interessante ed ha il merito di richiamare le responsabilità dello stato nella creazione della moneta e nella gestione delle relative politiche. Tuttavia, tali potenzialità rischiano di restare nel libro dei sogni se non vengono modificati la struttura di classe ed il potere del grande capitale. Nelle condizioni attuali, un ritorno alla lira si accompagnerebbe al predominio della destra xenofoba e diventeremmo una colonia della Cina. La mia modesta opinione – indotta dal realismo più che da un europeismo acritico – è che la battaglia vada combattuta in ambito europeo, perché l’Europa siamo anche noi.