di Giuseppe Ardizzone
Cafarnao (2018) è un film della libanese Nadine Labaki , ambientato nella moderna Beirut che, oltre ad essere la capitale del Libano ed una delle principali piazze finanziarie , bancarie , assicurative e commerciali del Medio Oriente e un centro culturale ed accademico di prestigio, è anche una metropoli al cui interno coesistono, senza integrarsi, vasti settori di popolazione di origine palestinese e molti profughi siriani che, insieme alle classi povere locali, danno vita ad un mondo marginale di ampie proporzioni ,che sopravvive al di fuori di ogni regola di vita civile . Le credenze , le abitudini e le diversità culturali e religiose alimentano ulteriormente il caos esistenziale della vita delle persone.
Il film di Nadine Labaki s’insinua proprio all’interno dei vicoli e delle abitazioni diroccate e periferiche della città per seguire la vita di queste persone , i loro problemi , le loro necessità avvalendosi di attori non professionisti e quasi presi dalla strada, facendoci tornare in mente il simile atteggiamento dei registi del neorealismo italiano.
In particolare è molto efficace e toccante l’interpretazione del giovane protagonista di origine siriana Zain Alrafeea nel ruolo di Zain , personaggio ispirato dalle vicende reali della sua vita. La stessa regista Nadine Labaki appare nel film nel ruolo dell’avvocatessa. Il film è stato ben accolto al Festival di Cannes dove ha vinto il premio speciale della giuria. Ha inoltre ottenuto la candidatura all’Oscar come miglior film straniero e con la stessa motivazione anche la candidatura al Golden Globes, al BAFTA, al Cesar e al Critics Choice Award.
Molti hanno criticato il film asserendo che lo stesso specula troppo sull’emozione suscitata dall’amarezza per le situazioni raccontate ed altri, al contrario, gli hanno rimproverato la presunta mancata coerenza della seconda parte ,in cui si sviluppa una sorta di lieto fine che toglie drammaticità al racconto.
A mio parere, tutto questo può non essere casuale e già implicito nello stesso titolo italiano del film dove il nome Cafarnao è seguito dalla dizione “ caos e miracoli”.
Proviamo a ricordare che, secondo i vangeli sinottici, Cafàrnao è stata un’antica città della Galilea, sulle rive del lago di Tiberiade, dove sembra che Gesù avesse iniziato la sua predicazione , dopo aver lasciato Nazareth. Questa città è passata alla storia come sinonimo di caos e contraddizione . E’ stata infatti sede dei primi miracoli di Gesù ma allo stesso tempo egli stesso la maledisse a causa dell’indifferenza nei confronti dei suoi insegnamenti.
In qualche modo le vicende reali della vita di Zain a cui la regista Labaki si è ispirata ed il racconto del film ci mostrano le terribili condizioni di vita in cui vivono larghi strati della popolazione marginale, ma anche la loro diffusa accettazione di una larvata criminalità e la mentalità sottomessa ad un senso della realtà opprimente e vessatoria che, in qualche modo ,accettano. E’ questo il profondo caos che circonda la vita di Zain fin dalla sua nascita e che giorno dopo giorno diventa sempre più insopportabile. Lo farà esplodere la decisione dei suoi stessi genitori di dare in sposa la sorellina di appena undici anni.
Zain, a quel punto, andrà via di casa per cercare la sua strada senza avere neanche una propria identità, in quanto non è mai stato dichiarato all’anagrafe.
Semplicemente, non esiste!
Eppure, in tutta la seconda parte del film sarà il suo rifiuto delle ovvie e crudeli necessità imposte della realtà a realizzare il “miracolo” di salvarlo , di salvare il bambino di un anno che le circostanze gli hanno affidato e di dargli quell’identità che altrimenti non avrebbe mai avuto
Il film, più che una tragedia, è una parabola che ci dice che i ceti popolari , specialmente sottoproletari( usando un termine antico) pur avendo le più grandi ragioni per soffrire, lamentarsi e meritare la nostra comprensione ed il nostro aiuto , raramente riescono a cambiare la propria mentalità sottomessa alla realtà dominante ed opprimente ,che ritengono sia l’unica possibile. A volte, ne diventano pure, più o meno ,involontari artefici e carnefici.
Zain si rivolterà legalmente contro i suoi genitori, imputandogli il fatto di averlo fatto nascere in un mondo inumano;di aver sacrificato la sorellina e ,nonostante tutto, di decidere di procreare ancora nuove future vittime.
La sua personale lotta produce “miracoli” all’interno di quel caos e qualcuno lo riguarda personalmente, consentendogli la conquista di un’identità legale che gli potrà permetter anche la ricerca personale di un mondo migliore, emigrando; ma che, in ogni caso, gli consentirà di porre le basi per una vita improntata alla ricerca di generali e migliori condizioni di vita per sé e per gli altri.
Il vero Zain ,nell’agosto del 2018, si è trasferito con la famiglia a Hammerfest in Norvegia, dove ha ottenuto il diritto d’asilo. Secondo quanto riferito dalla regista Nadine Labaki, Zain, dopo il trasferimento in Norvegia, è riuscito ad andare a scuola per la prima volta nella sua vita, imparando a leggere e scrivere.