Il Neoliberismo

Partiamo dall’opzione ancora largamente dominante, il neoliberismo. L’idea principale di questa dottrina ― che trova le sue radici teoriche nelle versioni più estreme della teoria neoclassica ed austriaca ― è abbastanza semplice: tutto ciò che è privato ed appropriabile è tendenzialmente creativo, giusto ed efficiente, mentre tutto ciò che è pubblico e non appropriabile è tendenzialmente burocratico, corrotto ed inefficiente. La prescrizione di politica economica è quindi il laissez-faire.

Un’efficace definizione di neoliberismo è contenuta nel dizionario enciclopedico della Collins, “[Neoliberalism], a modern politico-economic theory favouring free trade, privatization, minimal government intervention in business, reduced public expenditure on social services.”

Il neoliberismo ha gravi limiti, perché più che una teoria sembra un vero e proprio dogma. Infatti, nell’enfatizzare a priori le virtù del settore privato, non tiene conto, o considera «mali minori» rispetto all’intervento pubblico, i seguenti aspetti:

– I mercati sono caratterizzati da gravi imperfezioni, che tendono ad aumentare con la complessità dei prodotti: in particolare, asimmetrie informative, esternalità di vario tipo (ad esempio i danni all’ambiente), situazioni monopolistiche od oligopolistiche, presenza di beni pubblici.

– Il potere dei grandi gruppi fa sì che l’azione pubblica non sia affatto neutrale ma sia orientata dal potere lobbistico di questi gruppi.

Questa realtà è assolutamente ignorata o minimizzata dall’ideologia neoliberista. Per loro ciò che conta, senza ulteriori analisi, è che una cosa sia (o appaia) privata e che non via sia un aperto intervento pubblico. 

Si è in presenza di un «fondamentalismo del mercato» è più estremistico e superficiale dei lavori dei primi neoclassici. Ad esempio, Alfred Marshall e Léon Walras ribadivano che i loro modelli (basati comunque su ipotesi semplificatrici e che quindi per parte nostra non seguiamo) si applicano solo in casi specifici, e che l’intervento pubblico è necessario per assicurare le condizioni di concorrenza.

Walras, in particolare, si spinse molto avanti in questa direzione. In un testo poco noto (e chiaramente «rimosso» dalla dottrina neoliberista), Studies in Social Economics, propose, nell’ambito di un’articolata teoria dell’azione pubblica e privata, l’abolizione delle tasse sul lavoro (inclusi i «salari di direzione», ossia i profitti al netto delle rendite derivanti dal potere di mercato); e,  nientemeno, la completa nazionalizzazione della terra e di tutti i suoli pubblici, unita ad uno stretto controllo e/o alla nazionalizzazione delle public utilities.

Ecco alcuni passi significativi,

“I call myself a democratic socialist since I see in slavery, serfdom, and proletarianism three empirical phases of a single, unique issue: that of property and taxation, or the distribution of social wealth among the people in society….[ed aggiunge che]….overwhelmed by hard labour, partly robbed of the fruits of his efforts, not having the time or the means to improve science and art, the proletarian does not reach all his moral or economic value.

And while certain people who produce abundantly, consume insufficiently, others who consume excessively, produce insufficiently. The delicacy of moral personality is strained and shattered in the former case, and in the latter, it seems weakened and unnerved by lack of work….Collective ownership of land, in itself, and the absence of taxation, which is its corollary, are not only two outcomes of justice; they are two outcomes of essential interest for a nation that wants to live. Justice is not a luxury….it is for society what health is for a man; when it is lacking, he is condemned to idleness and misery.”, [Walras, Studies in Social Economics, (1936, [2010]), pp.94–95, 342].

Siamo anni luce dai neoliberisti alla Milton Friedman e alla Friedrich von Hayek.

L’Ordoliberismo

L’ordoliberismo ebbe origine principalmente nella «Scuola Economica di Friburgo» ad opera in particolare di Walter Eucken e Wilhelm Rӧpke. Tale teoria coincide largamente con «l’economia sociale di mercato».

In che cosa quindi si distingue il neoliberismo dall’ordoliberismo?

Come in quasi tutti i filoni, possono individuarsi due tendenze, risalenti ai due autori citati. La prima, sviluppata da Wilhelm Rӧpke rimane nell’alveo concettuale del neoliberismo, del quale può considerarsi una variante.

In effetti, egli partecipò al Colloquio Walter Lippmann del 1938 e fu componente attivo della Mont Pelerin Society, una vera roccaforte del neoliberismo nella quale svolgevano un ruolo rilevante Milton Friedman e Friederich von Hayek.

Nel suo libro principale, The Humane Economy,vi è un’esaltazione ossessiva  delle virtù del libero mercato, accompagnata da un’altrettanto ossessiva svalutazione dell’intervento pubblico.

In questo senso, anche se riconosce la presenza di numerose imperfezioni di mercato e di problemi economici del moderno capitalismo – ad esempio, la proletarizzazione, il consumo di massa e l’eccessivo ricorso al credito – ritiene che tutto ciò abbia poco a che vedere con le contraddizioni del capitalismo, e che poco si possa fare al riguardo. Infatti, ogni intervento pubblico in questo senso deve essere mantenuto al minimo, perché rischia facilmente di sfociare nel totalitarismo.

Il disprezzo per l’intervento pubblico si accompagna ad una feroce critica dei teorici in qualche modo favorevoli all’intervento pubblico. Marx e Keynes in particolare sono nel suo mirino, e definiti i principali «intellectual ruiners» della nostra epoca.  A loro vanno ascritte «l’immoralità e dissolutezza» del nostro tempo, simbolizzate dall’inflazione strisciante, e la tendenza a vivere sul welfare e sui debiti. Questi empi personaggi dovrebbero quindi pentirsi per aver propugnato tali orribili teorie.

Vi è però un completo capovolgimento della realtà: queste tendenze, lungi dall’essere state propugnate da Marx e Keynes, derivano in effetti dall’evoluzione e dalle contraddizioni strutturali del nostro sistema di sviluppo. E tali autori sono colpevoli solo di aver analizzato tali contraddizioni e proposto soluzioni per il loro superamento. In effetti, vi è una incomprensione profonda di Rӧpke del ruolo delle imperfezioni di mercato ― microeconomiche e macroeconomiche ― nel determinare le contraddizioni e squilibri delle nostre economie: ad esempio, marcate disuguaglianze economiche, potere di monopolio, equilibrio di sottoccupazione.

Un esempio per tutti della differenza tra la fantasia e la realtà è dato dal seguente passo di Keynes sull’inflazione. Lungi dall’esserne un fautore, egli afferma,

“Of the two (inflation and deflation) perhaps Deflation is, if we rule out exaggerated inflations such as that of Germany, the worse; because it is worse, in an impoverished world, to provoke unemployment than to disappoint the rentier. But it is not necessary that we should weigh one evil against the other. It is easier to agree that both are evils to be shunned. The Individualistic capitalism of to-day, precisely because it entrusts saving to the individual investor and production to the individual employer, presumes a stable measuring-rod of value, and cannot be efficient—perhaps cannot survive—without one. For these grave causes we must free ourselves from the deep distrust which exists against allowing the regulation of the standard of value to be the subject of deliberate decision.”, (J.M.Keynes, Essays in Persuasion, New York, Norton, 1963: 103-104,  first edition 1931).

Vi sono anche spunti interessanti nel libro di Rӧpke, ad esempio nell’analisi dei problemi contemporanei della massificazione. Un altro aspetto positivo è il rifiuto dei modelli e delle formule astratti tipici dell’economia neoclassica. Bisogna, egli dice, osservare la realtà. Ciò è senz’altro giusto, ma cosa propone per risolvere questi problemi che sembra almeno in parte riconoscere? Fondamentalmente, un ritorno ad una società di «liberi ed uguali» di stampo pre-industriale basata sul recupero dei valori religiosi e sulle piccole e medie imprese.

Ma, ammesso (e non concesso) che tali società siano veramente esistite in formato così idillico, non vi sono proposte concrete, data la sua avversione per l’intervento pubblico, su come realizzare tale ideale.

Ciò che viene auspicato è che le principali decisioni di politica economica siano prese in scienza e coscienza da un comitato di saggi non influenzato da gruppi di interesse. Siamo nel libro dei sogni.

Il secondo filone del neoliberismo, risalente a Walter Eucken, sembra più promettente. Vi è una critica metodologica più articolata delle ipotesi semplificatrici dell’economia classica e neoclassica non basate su un’osservazione attenta e neutrale della realtà. Ecco alcuni passi significativi,

«Failure to start from facts and from factual problems is the original sin of all empirical sciences. Words and concepts usurp the place of the analysis of facts and conditions….Economists are especially apt to suffer from a failure to see the true point of departure of their subject in everyday experience and its problems….it would also be necessary to study historically how economic theory, in the course of its development, has faced up to this double task of understanding and seeing through popular opinions and ideologies….Not only economists are apt to be careless and unsuspecting of the ideologies of vested interests, but often students and practitioners of law do not show the necessary caution when faced with «interested» interpretations and claims in cartel laws…it is in this way that the influence of economic pressure groups in public life spreads….Many are those who blind themselves to the facts by words, definitions, false abstractions, slogans, and prejudices. There were, for example, the notorious opponents of Galileo, who refused to make use of a telescope to look at the moon of Jupiter, because according to their theory and definitions Jupiter could have no moon, and therefore any further study of the heavens was superfluous. “This kind of person”, Galileo said, “believes that truth is not to be found in the world or in nature, but in the comparison of texts.”, W.Eucken, The Foundations of Economics. Springer, Berlin, Heidelberg, (1992, nota 1, p.319, prima edizione 1950).

Significativo anche un passo, citato nel testo di Eucken, di  A.Trendelenburg in Historische Beitrӓge zur Philisophie, «In contrast to the old methodological rule which begins the study of a subject with a definition, (Tommaso) Campanella once said that a definition comes at the end of a science.»

Anche qui, questi spunti interessanti non riescono a costruire una teoria alternativa al neoliberismo più o meno esplicito dei modelli neoclassici.

Può essere interessante svolgere qualche considerazione sui riflessi di queste teorie sull’Unione Europea (UE). Infatti, è il pensiero ordoliberista, più di quello neoliberista, che ha ispirato, e guida tutt’ora, i fondamenti economici e giuridici e le politiche della UE. Considerando i ben noti problemi della UE – bassa crescita quantitativa e qualitativa (anche nel senso che l’Europa non «crea tendenza» a livello culturale), disparità tra aree, persistenti politiche di austerità, primato del controllo dell’inflazione a scapito dell’occupazione – non è azzardato individuare la loro radice nei limiti sommariamente richiamati dell’ordoliberismo (e del neoliberismo).

Tali limiti consistono, in particolare nel caso di W.Rӧpke, nella scarsa capacità di comprendere il ruolo delle imperfezioni di mercato nel determinare le contraddizioni e squilibri delle nostre economie. Ciò si riflette nella mancanza di confronto con altre branche della teoria economica. Da tutto ciò deriva la scarsa capacità di riconoscere, oltre ai possibili difetti, il ruolo centrale dell’azione pubblica nello sviluppo delle moderne economie. 

Quali teorie possono contribuire ad uscire dall’attuale impasse? Ovviamente nessuna teoria può fare miracoli, però alcune possono contribuire ad inquadrare meglio, in uno spirito sinergico, le tematiche rilevanti.

L’Analisi Istituzionale del Mercato

Questi contributi sono stati sviluppati in particolare nell’ambito della Original Institutional Economics (OIE).

La OIE costituisce un significativo filone di pensiero economico nato negli USA alla fine del XIX secolo─il famoso testo di Thorstein Veblen The Theory of Leisure Class può considerarsi il punto di partenza. La OIE raggiunse il suo apogeo nelle prime decadi del XX secolo (grosso modo fino agli anni del New Deal) fin quasi a diventare un nuovo mainstream, per poi declinare notevolmente nel secondo dopoguerra (vi è un acceso dibattito sui motivi di tale declino).  Nella OIE in genere si distinguono i seguenti approcci: 

(I) Il primo, elaborato in particolare da Thorstein Veblen, che analizza la dicotomia tra istituzioni “cerimoniali” e “strumentali”; le abitudini di pensiero e di azione; il ruolo degli “istinti” del workmanship e del parental bent; il carattere cumulativo della tecnologia ed il suo ruolo “razionalizzante”; il ruolo della business enterprise nel moderno capitalismo e nella dinamica dei cicli economici.

(II) Un altro filone, sviluppato da John Rogers Commons, analizza le relazioni tra economia, diritto ed isitituzioni; la tipologia delle transazioni; il ruolo dei conflitti di interesse e della valutazione sociale ad essi associata; la natura ed evoluzione del concetto di proprietà, da una concezione materiale di possesso, ad una “intangibile” di relazioni, doveri ed opportunità; il ruolo della negotiational psychology nella comprensione dei fenomeni economici e sociali.

(III) Un terzo filone, sviluppato da Walton Hale Hamilton, Wesley Clair Mitchell ed altri studiosi, affronta il problema delle “imperfezioni di mercato” a livello micro e macro. Le tematiche più analizzate sono state il potere di mercato, la duplicazione delle imprese e l’inefficienza di molti settori economici, la insufficiente capacità di consumo dei redditi medio-bassi, la dinamica dei cicli economici.

Le principali idee della OIE

(I) La consapevolezza del carattere complesso ed interattivo della “natura umana”, e della conseguente importanza del contesto sociale per il suo miglioramento.

(II) Il conseguente rifiuto di ogni teorizzazione astratta non basata sull’osservazione della realtà, e conseguente importanza del metodo induttivo basato sull’analisi dei dati ed i casi-studio. 

(III) La considerazione dei fenomeni economici non come entità regolate da leggi esogene ed astratte, ma endogenamente determinati dalle caratteristiche istituzionali, sociali e culturali del contesto di riferimento.

(IV) Un orientamento interdisciplinare, in particolare con la filosofia e la psicologia del pragmatismo (in particolare, con le teorie di John Dewey, William James and George Herbert Mead).

Transazioni ed Istituzioni nell’analisi di J.R.Commons

Una importante intuizione di quest’analisi è che una quota sempre più significativa dell’azione individuale è svolta non in un vacuum ma in istituzioni di vario tipo.

Ciò si accompagna al passaggio dal capitalismo individuale (comunque supportato dall’intervento pubblico) al “capitalismo concertato” o “economia mista” del periodo attuale.

Inoltre, anche quando l’azione appare puramente individualistica — ad esempio, in uno scambio isolato tra venditore e compratore — vi è la presenza implicita di un elemento collettivo, rappresentato dall’insieme delle norme, istituzioni e politiche che rendono possibile tale transazione. In questo senso, è possibile identificare tre tipi di transazione:

Bargaining, che si riferiscono alle tipiche transazioni di mercato.

Managerial, che riguardano le relazioni all’interno di un’organizzazione.

Rationing, che indicano il rapporto del singolo con la sfera dell’azione collettiva.

The first concerns the relation between individuals with equal rights — which does not necessarily correspond to equal economic power — for instance, between buyer and seller. The second regards the relations between people organized within an institution, for instance between a manager and his or her collaborators. And the third refers to the relations between the person and a kind of collective action where there is less direct involvement. This happens, in particular, with the policy action of Government and Parliament, but also with the collective action of the most important economic and social associations of society (for instance, political parties, unions, consumers associations).

Interessanti le definizioni di transazione,

“Thus, the ultimate unit of activity, which correlates law, economics and ethics, must contain in itself the three principles of conflict, dependence, and order. This unit is a Transaction. A transaction, with its participants, is the smallest unit of institutional economics.”, [J.R.Commons, Institutional Economics: Its Place in Political Economy 1990 (1934): 58].

e di istituzione,

“Since liberation and expansion for some persons consist in restraint, for their benefit, of other persons, and while the short definition of an institution is collective action in control of individual action, the derived definition is: collective action in restraint, liberation, and expansion of individual action.”, (Commons, ibidem: 73). 

Un importante concetto collegato all’analisi delle transazioni e delle istituzioni è il Reasonable Value. Esso esprime il carattere conflittuale e relativo di ciò che è ritenuto “ragionevole” in relazione ad una particolare transazione, 

“The problem arises out of the three principles underlying all transactions: conflict, dependence and order. Each economic transaction is a process of joint valuation by participants, wherein each is moved by diversity of interests, by dependence upon the others, and by the working rules which, for the time being, require conformity of transactions to collective action. Hence, reasonable values are reasonable transactions, reasonable practices, and social utility, equivalent to public purpose….Reasonable Value is the evolutionary collective determination of what is reasonable in view of all changing political, moral, and economic circumstances and the personalities that arise therefrom to the Suprem bench.”, (J.R.Commons, ibidem: 681, 683-684).

Il “valore ragionevole”è collegato al concetto di valutazione sociale,

“To conceive of a problem requires the perception of a difference between ‘what is going on’ and ‘what ought to go on’. Social value theory is logically and inescapably required to distinguish what ought to be from what is….The role of social value theory is to provide analyses of criteria in terms of which such choices are made.”, (M.Tool, in Hodgson, Samuels e Tool, 1994: 406, 407).

È interessante osservare che quest’analisi assume una valenza interdisciplinare,

“If the subject-matter of political economy is not individuals’ and nature’s forces, but is human beings getting their living out of each other by mutual transfers of property rights, then it is to law and ethics that we look for the critical turning points of this human activity.”, (J.R.Commons, ibidem: 57).  

Egli elabora a tal fine la teoria della Negotiational Psychology che analizza come il ruolo economico e sociale di una persona ― considerato in particolare nello svolgimento delle sue transazioni le quali costituiscono un aspetto dell’azione collettiva ― può influenzare la sua risposta emozionale e cognitiva a tali situazioni. In questo senso, la Negotiational Psychology è una psicologia sia individuale che collettiva.

Commons ed il “double meaning” del mercato

In questo contesto, il concetto di mercato acquisisce un interessante “doppio significato”,

“With Ricardo, as afterwards with Marx, a market was a part of the whole process of production, and not a process of bargaining….This technological process of a marketing mechanism, considered as a part of the process of producing use-values, we distinguish as the technology of marketing. The other meaning is the institution of bargaining. These meanings are the difference between managerial transactions and bargaining transactions….This double meaning of marketing and exchanging was the root of difference between Malthus and Ricardo. It persists, with practical consequences, in modern economics. One is the technology of markets, the other is the pricing and valuing upon the markets.”, [J.R.Commons, ibidem: 364, 365]. 

Vi è poi una ricostruzione storica di questi fenomeni dove si evidenzia il ruolo dell’intervento pubblico nella nascita e nell’evoluzione del mercato,

“A market usually originated with a special monopolistic franchise, named a “liberty,” and granted to a powerful individual or ecclesiastical magnate, authorizing him to hold concourse of buyers and sellers, with the privilege of taking tolls in consideration of the protection afforded. These markets, thus established, were governed, eventually, by rules laid down by the common-law courts in the decisions of disputes, but originally by rules of their own making. The courts, in their decisions, developed the principle of the “market overt,” or the public, free and equal market….These principles were not something innate and natural but were actually constructed out of the good and bad practices of the time. The early physiocrat and classical economists thought of them as handed down by divine Providence or the natural order.”, (J.R.Commons, ibidem: 775). 

La concezione istituzionale del mercato permette quindi di evidenziare che i suoi aspetti positivi (creatività e decentramento delle decisioni) e negativi (sfruttamento del lavoratore e del consumatore, alienazione e asimmetrie di potere e di informazioni) tendono ad essere presenti in una complessa mistura in tutte le relazioni di mercato.

È solo attraverso adeguate politiche economiche ─ ad esempio, della concorrenza, della tutela dei consumatori e dei lavoratori ─ che si possono ridurre gli aspetti negativi e promuovere quelli positivi.  Ciò richiede un’approfondita valutazione sociale della struttura istituzionale del mercato. Che potrebbe prevedere, nell’ambito di un’efficace programmazione economica, una transizione verso un socialismo di mercato e/o forme di economia cooperativa.

Il ruolo della programmazione democratica

Un importante strumento concettuale elaborato dalla OIE per orientarsi in queste complesse relazioni è costituito dalla programmazione democratica. In questo senso, la OIE (in particolare W.Dugger, 1988; M.Tool 1986 e 1988) individua le seguenti forme di programmazione economica:

(I) Il primo tipo è il corporate planning, che costituisce la realtà delle moderne economie capitalistiche.

In questo sistema, il “libero operare delle forze di mercato” è fortemente condizionato dagli interessi delle grandi imprese, che posseggono un’ampia varietà di strumenti per influenzare le scelte di politica economica.    

Il corporate planning è altamente gerarchico, in quanto le principali decisioni vengono prese dal top management con scarso coinvolgimento dei lavoratori e dei cittadini.

(II) Segue poi il totalitarian planning, che persegue obiettivi di “pubblica utilità” definiti da una struttura fortemente gerarchica. Vi è quindi in questi sistemi, anche se possono aver raggiunto alcuni risultati, un fondamentale problema di mancanza di democraticità e di trasparenza. 

(III) Vi è poi una terza alternativa, costituita daldemocratic planning. Questo sistema, sebbene non sempre sia perfetto, è sicuramente più promettente.

Infatti, rendendo possibile una migliore espressione delle esperienze e motivazioni dei soggetti coinvolti, questo sistema migliora anche i processi di valutazione sociale che sono alla base delle decisioni di politica economica. Una importante differenza della programmazione democratica rispetto alle altre due tipologie consiste nella capacità di autocorreggere i propri errori. Nelle parole di William Dugger, «Social systems move forward when the previously excluded are included, when the lower strata gain in power, income, status, skills and knowledge….opening up participation in the life process to groups previously excluded by racism, sexism, jingoism, exploitation or whatever, invigorated the social system with a new dynamism…. So democratic planning must be a continuing process of bringing in new people and new ideas, of giving more people a voice, of incorporating dissenters and critics, of making room.»

Tali obiettivi sono collegati alla realizzazione dell’ “instrumental value criterion”, (in particulare, Tool, 1986), che pertiene alla realizzazione della “the continuity of human life and the non-invidious re-creation of community through the instrumental use of knowledge”.

Ciò è collegato al principio democratico elaborato da John Dewey: le persone interessate dalle decisioni dovrebbero avere un ruolo nella loro formazione e nella valutazione dei risultati. Sono questi aspetti che rendono, nelle parole di William Dugger, «participatory processes so dynamic and authoritarian processes so stultyfying».

Con riguardo agli effetti delle forme di mercato, i concetti richiamati ─ in particolare, valutazione sociale, programmazione democratica ─ possono svolgere un ruolo fondamentale nell’evidenziare che il mercato non costituisce una “variabile esogena” tendente automaticamente e magicamente ad un equilibrio ottimizzante. Ma una “variabile endogena”, definita da un insieme di norme e di istituzioni, a loro volte orientate dall’azione di politica economica e dai sottostanti processi di valutazione sociale. Tale maggiore consapevolezza, rendendo possibile un migliore processo di valutazione sociale, può contribuire a realizzare un più efficace coordinamento (e quindi ad una maggiore efficacia) delle politiche economiche: tra diverse politiche (in particolare, macroeconomiche e strutturali); e tra diversi livelli istituzionali (sovranazionale, nazionale, regionale, locale).

Arturo Hermann

Bibliografia

Commons, J.R. [1990 (1934)], Institutional Economics: Its Place in Political Economy, New Brunswick (New Jersey, U.S.A.), Transaction Publishers. Prima edizione, Macmillan 1934.

Dugger, W.M. (1988), “An Institutionalist Theory of Economic Planning”, in Evolutionary Economics, vol.II, edited by Marc.R.Tool, New York, Sharpe.

Eucken, W. [1992 (1950)], The Foundations of Economics: History and Theory in the Analysis of Economic Reality, Berlino, Springer-Verlag. Prima edizione, William Hodge, 1950. 

Hermann, A. (2015), The Systemic Nature of the Economic Crisis: The Perspectives of Heterodox Economics and Psychoanalysis, London and New York, Routledge.

Hermann, A. (2018), United Nations Agenda 2030 for Sustainable Development between Progress and Problems: Insights from Environmental and Heterodox Economics, Reading (UK), Green Economics Institute.

Hermann, A. (2020), Neoliberismo, Ordoliberismo ed Analisi Istituzionale del Mercato: Implicazioni per la UE e le Società Mediterranee”, in corso di pubblicazione nella rivista “Studi Economici e Sociali”.

Rӧpke, W. (1960), A Humane Economy, Henry Regnery Company, Washington (DC), USA.

Tool, M.R. (1986), Essays in Social Value Theory: A Neoinstitutionalist Contribution, New York, Sharpe.

Tool, M.R. (1988)(ed.), Evolutionary Economics, 2 volumes, New York, Sharpe. 

Walras, L. [1936, (2010)], a cura di J.V. Daal and D.A. Walker, Studies in Social Economics, Londra e New York, Routledge.