di Mario Basile
So che troppe volte mi è piaciuto inventare sogni, sogni che tu, forse, non vorrai vivere con me, ma, in questo istante, vorrei lo stesso che tu attraversassi le larghe strade di questa città, cullate dagli ultimi tiepidi raggi di sole di questo tramonto, e venissi da me in questa solitaria sera d’inverno.
Ricorderemo insieme il tempo nel quale attraversammo un bosco pieno di folletti.
Palpiteranno insieme a noi incantevoli visioni.
Ascolteremo insieme sciocche canzoni, ma tu forse non capiresti questa specie di musica, né capiresti gli sguardi degli gnomi guardarci con occhi ammiccanti. Penseresti solo al tuo domani e sopra di te vedresti lo scintillio delle guglie d’oro di un teatro.
Ed io sarei solo…
Tu, un giorno lontano, avrai tra le mani un nuovo libro ed una vecchia canzone. Vagherai tra i tuoi pensieri e solo allora, forse, potrai ricordarti di me e ricrearmi nel tuo cuore. Resterai muta e ti perderai tra le favole morte dentro una realtà a me ingrata.
Guardava il volume di racconti. Ciascuno di essi aveva per titolo quello di una celebre canzone. Qualcuna di esse faceva parte dell’album. Il cd era poggiato sul tavolo accanto al bicchiere di whisky dove si seppellivano i pensieri. Una sigaretta era poggiata sul posacenere…
Lei conosceva quelle canzoni che adesso vagolavano come nuvole di fumo nel suo lussuoso soggiorno. C’era stata una persona che le aveva amate tanto, una persona che l’aveva anche tanto amata: lei, una grande concertista, lei, che riteneva che la vera musica fosse solo quella colta. E quella musica le aveva dato la gloria.
Vorrei passeggiare con te in primavera. Portarmi con te in luoghi lontani, starti vicino nei posti in cui in certe ore vaga la paura. Vorrei che la speranza nascesse come il sole sui fiori di quella pianura senza orizzonte di un aeroporto lontano. Ti terrei per mano, tacendo. Tu invece preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano e ti ammirano, le vie dove tu potrai invitare la fortuna. Forse sei diversa da me e con me ti lamenteresti e sentiresti il mondo in disparte.
Per tanti anni ogni sera era riuscita a liberarsi a stento della gente che veniva a congratularsi con lei. Questo fatto un po’ la infastidiva, ma lusingava tanto la sua vanità di artista. Il suo pubblico riusciva a riempire quel vuoto che lei, volontariamente, aveva creato attorno a sé. Le dava tuttavia un leggero fastidio che le persone venissero ai suoi concerti spesso solo per osservare le sue acconciature o il modo con il quale era vestita e la ascoltassero solo per leggere, nei suoi fraseggi al pianoforte, le sue emozioni di donna o per scrutare nel suo bellissimo volto i segni dei suoi tanti burrascosi amori che puntualmente finivano. Ma la sua era stata una scelta di vita…
Tu vivrai una vita che io ignorerò, sarai lontana da me centinaia di passi, una montagna di passi. Difficile sarà varcarla. Sorriderai ad altri uomini che io non conosco e qualcuno mi ruberà gli occhi tuoi
Adesso la fama le si era attaccata addosso, come una seconda bellissima pelle. L’aveva resa altera e deliziosamente distante. Era sufficiente leggere sulla locandina solo il suo nome per elettrizzare l’attesa per la sua esibizione; bastava l’idea della sua sola presenza per creare il caos; se veniva annunciato infatti, anche per errore, che lei avrebbe tenuto un concerto, molte persone in più di quelle che avrebbe potuto contenere il teatro travolgevano il botteghino e per disperderle bisognava a volte chiamare le forze dell’ordine.
Vorrei con te esplorare d’estate i segreti di una casa bianca sul mare, di una casa nascosta alla folla. Vorrei che l’ombra leggera del nostro verde pergolato ci proteggesse dagli sguardi indiscreti.
Vorrei fermarti con me a guardare il rumore della schiuma contemplando gli abissi azzurri del cielo.
I nostri corpi rinasceranno in quel momento, ma tu starai forse attenta solo ad osservare la tua immagine allo specchio e indifferente mi chiederai di accenderti un’altra sigaretta che le tue labbra piano piano macchieranno di rossetto, mentre un rosso tramonto brucerà la fine del giorno.
Per molto tempo era stata prigioniera nella sua stessa splendida casa, non poteva camminare per strada per timore di venire assediata, guardata, toccata, denudata, fatta a pezzi, divorata. Non si poteva sapere quello che la gente avrebbe potuto fare a lei o con lei, proprio grazie alla fama che riteneva di averle donato. E questo non avveniva nemmeno in cambio dei suoi doni: un’adorazione del genere, un simile annientamento, le erano tributati anche da quelli che avevano sentito parlare di lei e non solo da quelli che l’avevano vista e sentita suonare. Aveva scoperto così che presto la fama si stacca dalla sua fonte, nel suo caso la musica e il pianoforte. La sua interpretazione della prima e i suoi effetti sul secondo restavano, a volte, per gli inebriati ammiratori, in secondo piano rispetto allo splendore del suo viso in estasi durante il concerto.
Vorrei portarti con me, lontano dalla folla, in un posto solitario e narrarti il segreto delle storie d’amore abbandonate, percorrere strade bianche e cogliere i fiori dai prati e poi distesi sull’erba contemplare il silenzio del paesaggio filtrato da una malinconica luna appesa ad un cielo di cristallo. Ma tu ti guarderesti intorno senza capire e non vedresti le piccole cose che solo io osservo e saresti incantata da altri bagliori che a me non importano.
Adesso invece si accorgeva, guardando nello specchietto retrovisore, indietro nella sua ormai lunga vita di artista e di donna quasi anziana, che non aveva saputo o, meglio, voluto costruire una durevole storia d’amore. Tutto era andato via col vento. L’ultimo uomo con il quale aveva convissuto circa due anni era stato, come tutti gli altri, rimandato a casa, dopo un logorante ed egocentrico possesso.
Vorrei osservare insieme a te quelle piccole cose sciocche, quando in autunno i fantasmi del passato si innalzano sopra la via e sfiorano il presente. Vorrei osservare in te le memorie dell’età beata, quando tu ti nutrivi di magici oggetti che si innalzavano sopra il tuo candore di bambina emanando una specie di musica che, senza volerlo, ti guariva dalle tue debolezze.
Invece lei era stata ed era ancora una grande artista e in quanto tale aveva innalzato sull’altare della vita altre scelte. Da giovane si era però sposata, ma soltanto perché aspettava un figlio.
Non amava quell’uomo e il particolare inquietante fu che la prima notte di nozze aveva sognato di sposare un altro. Era un amico che conosceva da tempo, un artista come lei, con il quale aveva condiviso le ambizioni, ma soprattutto i sogni. Lui voleva intraprendere la carriera di scrittore e qualche mese prima delle sue nozze l’aveva invitata a cena dicendole che aveva da dirle qualcosa di molto importante. Lei aveva fatto la sua scelta di vita, non aveva risposto a quell’invito, lo aveva rifiutato, soffrendo però enormemente. Voleva avere una vita di artista libera, non soggetta a conformismi o a vincoli ed il vincolo matrimoniale si era infatti dissolto qualche anno dopo la nascita della figlia. Non era stata una buona madre per lei, ma ormai non poteva rimediare: la figlia viveva lontana e distante e a lei restavano solo i suoi molti amori o, meglio, i loro ricordi e una gloria divorante.
È inutile. Forse tutti i miei vaghi pensieri sono solo sciocchezze e tu sei migliore di me e la vita ti regalerà doni più grandi, ma almeno vorrei rivederti. Non m’importa se stasera, se in questa casa disadorna o domani per le strade di notte. Mi basterà averti vicina. Ma tu forse non mi sarai accanto e allora mi accontenterò soltanto che tu abbia qualcosa che mi ricorderà vicino a te.
In quel momento non voleva nemmeno sfogliare quel libro. Aveva paura che le avrebbe rivelato qualcosa di sé, qualcosa che lei stessa aveva sempre cercato di nascondersi. Ad un certo punto tuttavia, incerta e palpitante, aprì una pagina a caso.
Vorrei che tu accettassi il mio invito, vorrei farti capire quanto mi piacciono certi piccoli particolari di te, certe piccole e grandi cose di te: sguardo, voce, andatura. Certe sciocche cose di te: il modo di pettinarti, lo scrosciare delle tue risate, il tuo modo di porgere le mani, il tuo sguardo altero e impaurito, la tua sigaretta accesa tra le labbra. Tu sei una donna dal grande temperamento, ma di te io amo soprattutto quei tuoi vezzi banali e deliziosi che mi riempiono di gioia. Intanto ti aspetto. Non so se verrai, ma la tua impalpabile presenza resta aggrappata alla mia anima. I pensieri si dondolano, a volte languidi, a volte strazianti, tra una felicità quasi a portata di mano e l’angoscia di un definitivo distacco. Mi abbraccerai muta quando ci ritroveremo soli e stranieri nella notte. Nell’appartamento accanto si sente il pianoforte suonare una canzone talmente bella che mi piace immaginare che, almeno una volta tanto, tu possa apprezzarla. È una canzone d’amore che vive e si snoda sul doppio binario delle possibilità, ma tu forse dirai che è una sciocchezzuola rispetto alla grande musica che tu suoni divinamente. Sei una donna di classe, ma mi piace immaginare che tu possa amare le parole e le frasi che escono dalle mie labbra. Questa sera ti dirò quanto mi sei cara. Emaneremo una luce di gioia, ma tu avrai la candida superbia dei bambini e forse non mi ascolterai. Ti mostrerò due biglietti per volare verso un posto romantico e segreto. Stanno per pubblicare il mio primo libro. Festeggeremo insieme. Intanto io chiudo gli occhi e sogno di fretta con la fresca rugiada dentro il cuore impaziente. Eppure temo tanto che il mite vento della primavera mi svelerà che tu forse non verrai ed io aspetterò invano che questo silenzio sia squarciato dal suono del tuo bussare.
Lei intuì come tutto il racconto poi si sarebbe svolto come nella realtà del passato non era accaduto e capì quanto le parole di lui, lontane nel tempo, avessero profumato per tanti anni la sua pelle d’alabastro.
Era morto qualche mese prima dopo una lunga malattia. L’ultima volta che l’aveva incontrato, per caso, per strada, in una sera invernale, lui sapeva già di star male. L’aveva stretta a sé per poi andarsene in silenzio, quasi correndo. Erano stati quasi due estranei nella notte.
Avevano vagato nei posti dove solo gli abbandonati si recavano, nei piccoli bar sperduti dove ogni melodia ricordava un amore che era stato e come due raminghi sognavano quello che si era disperso. Il passato adesso invece le si rituffava addosso a riprendere e ripercorrere quella strada perduta. Non aveva capito quanto fosse stata importante per lui. L’aveva volutamente ignorato. Non voleva impegnarsi con lui, forse non voleva pensare che anche con lui sarebbe stato come tutti gli altri.
Ma tu dove sei? Mi pensi? Dove e quando ti potrò ritrovare? Rinuncerò a quelle cose di te che tu giudichi inutili e sciocche. Non ci sarà più poesia, la comune speranza e la malinconia, così amica dell’amore. Ma tu sarai vicina e mi starai ad ascoltare. E insieme riusciremo ad essere felici.
Adesso si accorgeva che non aveva mai letto un suo libro. Inconsciamente non aveva mai voluto rendersi conto di quanto l’avesse profondamente amata.
Poteva solo consolarsi pensando che se lo avesse sposato, forse avrebbe troncato con lui come aveva fatto con tutti gli altri e, probabilmente, avrebbe rallentato la sua carriera e lui la sua. Restava tuttavia il fatto che adesso lo ritrovava tra quelle pagine e la cosa più sconcertante era che ritrovava anche se stessa e che avrebbe portato avanti nella sua vita e nella sua arte il suo ricordo.
Si pensa che l’eterno dilemma consista nel decidere tra il rimorso ed il rimpianto. Il suo non era né l’uno, né l’altro.
La sua era stata forse paura, paura che la realtà quotidiana avrebbe potuto distruggere qualcosa che, forse, poteva avere come terreno fertile solo quello della possibilità e del sogno: la realtà l’avrebbe reso imperfetto.
In fondo, tutti abbiamo la tendenza a vederci nelle diversi fasi della nostra vita come risultato e compendio di ciò che è accaduto e che ha costituito la nostra esistenza. E lei, inquieta, adesso pensava che, forse, la sua vita non era stata soltanto quella che aveva vissuto: si accorgeva che era composta anche dai suoi rifiuti e dalle conseguenti perdite, dai desideri rimasti insoddisfatti e da ciò che un tempo aveva tralasciato o che non aveva scelto oppure non aveva ottenuto, dalle paure che l’avevano paralizzata, dalle sue esitazioni e dalle sue aspirazioni, che solo adesso rivelavano il loro straziante vuoto, adesso che pensava a chi aveva abbandonato o a quei pochi che l’avevano abbandonata. D’un tratto capiva che esisteva non solo per quello che aveva vissuto e che si era verificato, ma anche per tutto quello che era stato più incerto, indeciso, sfumato, brumoso: si accorgeva che, forse, in lei coesistevano in ugual misura ciò che era stato e ciò che sarebbe potuto essere. Lei era vissuta anche altrove, dentro un’altra vita creata da un altro.
Quel racconto glielo confermava. Miracolosamente. In quel momento, le faceva vivere quella possibilità che un tempo aveva rifiutata per timore che la squallida realtà l’avrebbe potuta sciupare. Nelle frasi del libro essa invece si cristallizzava in eterno.
Il nostro corpo perderà il peso degli anni e le nostre anime diventeranno candide, come se fossero nate in quel momento.
Accese il lettore e riascoltò la canzone che apriva il cd e che aveva lo stesso titolo del racconto che in quel momento stava leggendo…
Ebbe dei lunghi brividi, forse perché quella voce veniva da una donna che, in un certo senso, aveva fatto, ad un certo punto della vita, delle scelte totalmente diverse dalle sue. Quella cantante dalla voce straordinariamente unica, con una tessitura timbrica che affondava a volte come una sinuosa sonda negli anfratti dolenti delle piaghe del mal d’amore.
Ascoltò gli altri brani del disco e finalmente si accorse che le canzoni non erano solo sciocche canzonette, ma che le prendevano il cuore e la mente. Sembravano essere la colonna sonora della sua vita. Una in particolare le staffilava l’anima, forse perché era il ritratto di quello che era stata sino ad allora. Capiva bene le parole. Quella canzone non l’aveva mai sentita cantata da una donna, ma adesso quella voce, intensa in modo sublime, le penetrava l’anima, rendendole la realtà vissuta sino ad allora priva degli orpelli e delle fredde preziosità che le avevano permesso di vivere in un mondo sovradimensionato. Era come se a cantare fosse lei.
Tutto il suo passato sembrava riaffiorare attraverso quella voce viscerale che si faceva roca e amara per esprimere lo struggente rimpianto per una vita sbagliata. E le parole sembravano scritte proprio per lei.
Tu un giorno sarai lontana, ma una notte ci incontreremo. Non ci saranno parole. Tutte le parole d’amore le ho consumate per te. Te le ho dette prima che mi apparisse la tua presenza. Prima di sentire il tuo passo bussare alla mia porta. Prima che la fessura dell’uscio squarciasse il tuo sorriso.
L’amore suppliva ai lunghi ricordi come in una sorta di magia incantata ed inventava intorno a lei un passato diventando la traccia luminosa capace di impadronirsi del suo tempo perduto…
Quella notte diede ascolto all’arcana musica del vento che trasportava cullanti presentimenti. Divorò quel libro, rivisse la vita che aveva vissuto solo nel mondo delle possibilità, l’altra sua possibile vita, che si era realizzata solo adesso tra quelle pagine.
Sapeva che, troppe volte, lui aveva inventato sogni che lei, lontana nello spazio e nel tempo, aveva vissuto con lui senza esserne consapevole. Quei sogni che, in quel momento, non avevano più né ieri, né oggi, quei sogni che, in quell’istante, non avevano nemmeno domani, quei sogni che, ormai, vivevano solo nell’eternità di quelle pagine…
Dalle brume dei ricordi evocati da quel canto appartato che pettinava i rimorsi, emergeva adesso quell’impossibile idea che solo chi è solo ha e che le permetteva di riconoscere e di percepire il passato trasformato in presente realtà. Nel silenzio risuonava ancora quel lacerante ‘addio’.
Ricordava adesso tutti i momenti dolci, quei fiori nel giardino di quella piccola casa al mare, il fresco pergolato, gli alberi sul ciglio della strada, i sentieri, le pietre lungo il fiume incantato, la vasta campagna sotto il cielo di vetro, quei picnic cotti d’amore e quelle figure dipinte nei boschi sotto il chiarore lunare.
Sì, quello poteva finalmente essere il tempo nel quale un sogno folle come questo si sarebbe potuto avverare, congelando ogni carezza e martirio d’amore. Non lo doveva lasciare mai finire, perché se si fosse chiuso le sarebbe rimasto solo il vuoto ed il fallimento che solo gli infelici conoscono.
Sì, in questo modo non lo doveva solo sognare, ma poteva anche esprimerlo con consapevolezza, attraverso una costruzione di se stessa in musica e svanimento, in parole e consapevolezza.
Sì, quella magia di musica e parole era l’ultima eredità d’amore dell’unico uomo che l’avesse mai realmente amata.