di Francesco Nicolosi Fazio

Un deflagrante, se pur breve, poemetto che però naviga sicuro ed incerto nel mare di questa umanità che si inabissa nell’”antropocene… al tempo degli ecomostri”.

Con altri termini interviene il Nonno che diventa identità e sincerità di pasoliniana memoria, memoria stabile dentro una valanga di poesia civile che proprio a Pasolini riconduce, oltre al dichiarato Gregory Corso, a cui è simile nell’incedere, ma con altra eleganza; e ad Italo Svevo, per la visione serena, senile e disperata. Perché non ci salva neanche la poesia, già tradita ai tempi del “giardino del bene e del male”, mano che non ci soccorre, noi cadenti come petali di “rosa, rosae”. Oggi, che il “pestifero vettore” tremendo ci assedia, i nostri ormoni tacciono, sottomessi al “cataclisma aggraziato e bucolico”.

La poesia di Angelo Pizzuto guarda in faccia la realtà, anzi “le” realtà, che solo i poeti sanno cogliere,  dando diagnosi incerte ma veritiere, più di mille tamponi portati da “candido batuffolo ormonale”.

La vera poesia (in-versa) non ha luogo sicuro. Vive sospesa tra i mondi essendo “Biosferica e stratosferica al tempo”; ciò anche grazie alle dirompenti immagini di Pizzuto che ci riconducono alla realtà che però è soltanto realtà poetica, che è sogno, che non è solo incubo, comunque senza speranza.

La poesia civile di Angelo è “rara avis” e di questa forma letteraria abbiamo estremo bisogno, non solo per placare “La strafottenza di ego”, ma per vedere chiaro nel buio del futuro del mondo.

Ad majora.