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Alcuni aspetti significativi della riforma
Come è noto, negli ultimi anni il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)
European Stability Mechanism | (europa.eu) (ESM) è al centro di un acceso dibattito. Se ne evidenziavano i vantaggi, ma anche i rischi che possa diventare un modo, come è avvenuto nel caso della Grecia, per imporre ai paesi più deboli, mediante un’umiliante sorveglianza, politiche neoliberiste di tagli indiscriminati alla spesa pubblica ed alle prestazioni sociali. Questi timori sono fondati ma non dipendono dal MES, che è semplicemente un necessario strumento di intervento straordinario, ma da come lo si applica.
Recentemente (30 Novembre 2020) è stata infatti approvata, al termine di un lungo percorso, dall’Eurogruppo dei ministri delle Finanze la riforma del MES.
In tale ambito, l’accordo raggiunto prevede il cosiddetto backstop ― un sostegno finanziario di ultima istanza del MES ― al fondo di risoluzione unico delle banche (single resolution fund), finanziato dalle banche stesse.
La rete di sicurezza sarà in vigore due anni prima rispetto al previsto, cioè dal 2022 invece che dal 2024. Con questi meccanismi il MES potrà fornire con procedure semplificate linee di credito alle banche e/o ai paesi in difficoltà prima che la crisi si espanda, ed evitare in tal modo maggiori costi di intervento. Tutto ciò disincentiverà gli attacchi speculativi, rafforzerà l’euro e l’intero settore bancario europeo e porrà le premesse per uno sviluppo sostenibile.
La riforma elimina il Memorandum of Understanding (MoU) ― un protocollo d’intesa redatto dal paese membro e dalla Commissione Europea sulle misure da adottare e passato alla storia per aver imposto condizioni rigide alla Grecia ― sostituendolo con una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità. Ciò vale però solo per le linee di crediti ordinarie[1], Precautionary Conditioned Credit Lines (PCCL), che possono essere attivate per sopperire a difficoltà temporanee.
Il MoU sarà invece necessario per le linee di credito a condizioni rafforzate, Enhanced Conditions Credit Lines (ECCL) che possono essere attivata dai paesi membri che non rientrano nelle condizioni delle PCCL. Certo, si tratta di una “sorveglianza” in qualche modo umiliante, che però può fungere da deterrente per i paesi membri per non ritrovarsi in tali condizioni. Questo perché le condizioni per l’accesso alle linee di credito ordinario sono abbastanza flessibili. È sufficiente, insomma, non presentare un quadro macroeconomico fuori controllo.
In questo senso, le critiche sulla condizionalità esprimono preoccupazioni condivisibili ma sembrano spesso mal poste. Infatti, qualche forma di condizionalità ― ossia dei criteri di erogazione dei finanziamenti ― sarà sempre presente in qualsiasi contesto (perfino in un gruppo di amici). Ed è pur vero che in un’unione monetaria qualche criterio dovrà pur esservi nell’attuazione delle politiche macroeconomiche. Quindi, è del tutto illusorio pensare che si possano emettere recovery bonds e simili senza condizionalità. Puntare solo su questa fonte di finanziamento ci porterebbe ad una maggiore esposizione sui mercati internazionali i quali potranno imporci prima o poi condizioni ben più rigide, che possono arrivare fino alla ristrutturazione[2] del debito.
Con riguardo alla riforma del MES, pensiamo che, seppur con qualche ombra, vada nella giusta direzione. Nell’immediato futuro, l’aspetto cruciale è che i criteri di intervento siano informati, nelle situazioni di emergenza come l’attuale pandemia, a principi di responsabilità e trasparenza. E che, nelle situazioni normali, tali criteri si inspirino, oltre che a responsabilità e trasparenza, ad una prospettiva post Keynesiana e della Modern Monetary Theory. Nel prossimo paragrafo consideriamo alcuni di questi aspetti.
Le diverse prospettive di intervento
Come già notato, vi è su questa riforma un acceso dibattito, sul quale ovviamente non entriamo. Quello che sembra importante ricordare è che i meccanismi di intervento.straordinario previsti dal MES sono parte integrante di una banca centrale che abbia “pieni poteri”. E che tali poteri diventano cruciali nel caso di una valuta sovranazionale come l’euro, esposta, per la mancanza di un governo centrale europeo, a maggiori attacchi speculativi. Come è noto, però, la Banca Centrale Europea (BCE) non ha pieni poteri perché non è prestatore di ultima istanza. Infatti, i prestatori di ultima istanza per i singoli paesi dell’Eurogruppo sono le relative banche centrali, che emettono le banconote in euro nei rispettivi paesi anche se chiaramente in raccordo con la BCE. Per maggiori dettagli riguardo all’Italia si rimanda al seguente link, Banca d’Italia – Emissione euro
In questa situazione, che queste funzioni di intervento straordinario vengano svolte da una Banca Centrale Europea (BCE) potenziata, o dal MES in raccordo con la BCE con i poteri attuali ha un’importanza relativa. Come già osservato, quello che conta è che il MES (e la BCE) operino in una prospettiva post Keynesiana, come effettivo strumento di intervento monetario per affrontare sul nascere le crisi finanziarie e rilanciare in modo sostenibile, attraverso immissioni di liquidità, gli investimenti, i consumi e l’occupazione. La differenza tra le due prospettive può così sintetizzarsi:
(I) nella visione neoclassica, i mercati, tranne poche eccezioni, sono considerati perfetti (o facilmente perfettibili). Ciò implica che, dato che “l’offerta crea la propria domanda”, il pieno impiego delle risorse è automaticamente realizzato. Il problema, quindi, è eliminare “dannose interferenze”, come l’azione pubblica e dei sindacati, e realizzare il più possibile un sistema di laissez faire. In tale contesto, la moneta è considerata neutrale, ossia che non può influenzare le variabili reali del sistema, come la domanda e l’occupazione; il sistema bancario come un semplice intermediario tra risparmi ed investimenti ed il tasso di interesse reale come un compenso per “l’astinenza”, e che quindi deve essere sufficientemente elevato per incentivare i risparmi.
(II) Nella visione post Keynesiana[3] (e della Modern Monetary Theory) la prospettiva cambia totalmente. I mercati, tranne poche eccezioni, sono considerati notevolmente rigidi ed “imperfetti” sia a livello micro che a livello macro. A livello micro, uno dei motivi di tali rigidità consiste nell’assicurare un certo livello di stabilità alle relazioni lavorative e sociali che caratterizzano le transazioni economiche. Infatti, se i prezzi dei beni e le retribuzioni dei lavoratori avessero la volatilità di un titolo in borsa, nessuna società stabile sarebbe possibile. A livello macro, l’imperfezione più rilevante è che l’offerta potenziale di pieno impiego, lungi dal creare automaticamente la propria domanda, tende sistematicamente ad eccedere la domanda effettiva. Il risultato è un cronico sottoutilizzo della forza lavoro e della capacità produttiva. Anche sul versante monetario, le differenze sono profonde. Nella prospettiva post Keynesiana, la moneta e le relative politiche monetarie non sono affatto neutrali ma svolgono un ruolo centrale nella creazione della domanda effettiva. Il tasso di interesse reale viene considerato non come un premio per l’astinenza ma come il prezzo della rinuncia alla liquidità. Il suo livello è influenzato non dalla domanda ed offerta di risparmio ma dalle politiche monetarie di “mercato aperto” delle banche centrali, ossia di acquisto e vendita di titoli. Elevati tassi di interesse reale disincentivano gli investimenti produttivi, sia perché riducono la Keynesiana “efficienza marginale del capitale” ― ossia il divario tra tasso atteso dei profitti e tassi di interesse reale ―, sia perché aumentano il costo del denaro, in particolare, come anche evidenziato dalle teorie del razionamento del credito, per le piccole e medie imprese. Tale approccio sottolinea che la moneta può sempre essere creata ex-novo dalle banche centrali e/o dai governi.
Rispetto alle politiche neoclassiche e monetariste ― tipiche delle banche centrali fino a tempi recenti ― basate sul controllo dell’inflazione attraverso la restrizione dell’offerta di moneta (e molto spesso con effetti negativi sulla crescita e l’occupazione), la prospettiva post Keynesiana costituisce un’autentica rivoluzione. Un importante passo in questo senso consiste nel considerare, nelle politiche della BCE e del MES, non solo dell’obiettivo del controllo dell’inflazione ma anche del raggiungimento della piena occupazione.
Conclusioni
In questo contesto, pensare che le funzioni di una banca centrale ― in particolare in situazioni di emergenza come l’attuale ― possano essere svolte in modo efficace solo o principalmente da emissioni di “recovery funds[4]” e simili è pura illusione e ci porterebbe dritti alla troika. Infatti, i bassi tassi di interesse reale di oggi possono benissimo aumentare domani ― e basta per questo che vi sia una vendita di titoli indotta da un calo di fiducia con possibile richiesta di ristrutturazione del debito pubblico ― considerato che è proprio questo l’obiettivo dei grandi gruppi finanziari. Inoltre, tale alternativa, ci metterebbe in balìa dei mercati internazionali e dei falchi UE, che ci rinfaccerebbero ogni giorno che la UE si indebita per sostenere il nostro debito pubblico. Quest’ultimo aspetto può verificarsi anche con il MES, ma vi sono due differenze sostanziali: (i) il MES è un’istituzione intergovernativa, in cui il Consiglio dei Governatori (Board of Governors) è costituito dai ministri responsabili delle finanze dei rispettivi stati ed è presieduto dal presidente dell’Eurogruppo. Il Consiglio dei Governatori nomina poi 19 direttori che costituiscono il Consiglio di Amministrazione (Board of Directors), (link How we decide | European Stability Mechanism (europa.eu).
Quindi, quel che succede in tale ambito non costituisce una variabile “esogena” perché dipende anche dalla nostra capacità “endogena” di portare avanti una strategia progressista. (ii) Le linee di credito del MES ― e le altre opzioni, come le operazioni di quantitative easing sul mercato primario e secondario (mai attuate, ma che si potrebbero benissimo mettere in atto, anche in raccordo con operazioni analoghe della BCE) Lending toolkit | European Stability Mechanism (europa.eu) ― passano attraverso il canale bancario. Quindi, e non è un aspetto di poco conto, non aumentano il debito pubblico nei confronti del settore privato (e in particolare dei grandi gruppi finanziari), con il possibile rischio di attacchi speculativi.
Ovviamente, considerato che il MES è un intervento straordinario di intervento in situazioni di seri squilibri macroeconomici, l’auspicio è che, a parte il caso di calamità naturali come l’attuale, ci si ricorra il meno possibile.
Un primo elemento è costituito, come già notato, da tassi di interesse reale permanentemente bassi. Un altro importante elemento è costituito da politiche fiscali espansive, in particolare in collegamento con obiettivi strutturali come la realizzazione della green economy; e da una tassazione progressiva, in particolare per i redditi più elevati e le rendite in modo da mantenere in limiti contenuti i disavanzi di bilancio. Questo perché le politiche di deficit spending, sebbene preferibili alle politiche di “austerità”, hanno il grosso difetto di alimentare la spirale del debito pubblico e del pagamento degli interessi. Poiché, come evidenziato da Trygve Haavelmo[5] nel 1945, anche un bilancio in pareggio ha effetti espansivi, molto meglio ridurre il disavanzo di bilancio a valori dell’1%-1,5% del Pil. In effetti, realizzare un bilancio pubblico tendenzialmente in pareggio costituisce il vero snodo per rendere le politiche economiche progressiste indipendenti dall’alta finanza e dai falchi neoliberisti in ambito UE. In tale ambito, un disavanzo moderato può essere facilmente monetizzato. Tutto ciò dovrebbe essere accompagnato da un orientamento dell’attività delle banche verso il sostegno delle attività economiche e sociali sostenibili, in particolare delle piccole e medie imprese.
Arturo Hermann
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[1] Le condizioni per un paese membro per accedere a tali linee di credito sono le seguenti:
– non essere soggetto alla procedura per disavanzi eccessivi;
– rispettare i seguenti parametri quantitativi di bilancio nei due anni precedenti alla richiesta di assistenza finanziaria: un disavanzo inferiore al 3% del PIL; un saldo di bilancio strutturale pari o superiore al valore di riferimento minimo specifico per Paese; un rapporto debito/PIL inferiore al 60% del PIL o una riduzione di questo rapporto di 1/20 all’anno;
– non evidenziare squilibri eccessivi nel quadro della sorveglianza macroeconomica dell’UE; – presentare riscontri storici di accesso ai mercati dei capitali internazionali a condizioni ragionevoli;
– presentare una posizione sull’estero sostenibile;
– non evidenziare gravi vulnerabilità del settore finanziario che mettono a rischio la stabilità finanziaria.
Per maggiori dettagli sugli aspetti della riforma del MES si rimanda al Dossier del Servizio Studi del Senato “La Riforma del Trattato Istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità”, Dicembre 2020, n.104.
[2] La riforma del MES prevede una procedura semplificata per la ristrutturazione del debito per i paesi membri che ne facciano richiesta, costituita dalle clausole di azione collettiva (collective action clauses, CACs), il cui scopo è rendere omogenei i termini e le condizioni di tutte le fattispecie di debito interessate dalla ristrutturazione. Questo aspetto viene spesso criticato come un incentivo per gli stati membri di andare in default (fallimento). Vi è da dire, però che questa è solo una possibilità molto remota, e che l’intento della riforma sembra andare nella direzione opposta. Ossia, rendendo più semplice e meno costoso gestire la ristrutturazione del debito, può costituire un ottimo incentivo per i paesi membri di non arrivarci.
[3] Tra i numerosi contributi sul tema si rimanda in particolare a L.P.Rochon e S.Rossi, S. (eds.)(2017) Advances in Endogenous Money Analysis, .Cheltenham (UK), Elgar; L.R.Wray (2019), “Alternative paths to modern money theory”, Real-World Economics Review, issue n.89, 1 Ottobre, pp. 5-22; ed agli altri contributi della issue, link http://www.paecon.net/PAEReview/issue89
[4] Ovviamente il recente accordo sul “Recovery Fund” per sostenere i costi della pandemia va nella giusta direzione. Tale accordo è però costituito da vari interventi, tra cui un potenziamento delle operazioni di quantitative easing della BCE sulla montagna di titoli in circolazione. Quest’ultima soluzione è sicuramente più vantaggiosa dell’indebitamento esterno per i seguenti motivi convergenti: (i) Diminuisce l’esposizione dell’Italia e della UE sui mercati finanziari internazionali. Ciò è’ positivo non solo per il minor pagamento di interessi ma anche perché riduce la nostra dipendenza dalle logiche finanziarie di tali mercati. (ii) Gli acquisti di titoli della BCE contribuiscono a mantenere bassi i tassi di interesse reale, e ciò, come notato in precedenza, diminuisce il costo del denaro per le imprese ed aumenta la cd “efficienza marginale”, ossia la differenza tra profitti attesi e tassi di interesse reale. (iii) Come notato da Keynes nell’ultimo capitolo della The General Theory of Employment, Interest and Money (Londra, Macmillan, 1936), bassi tassi di interesse reale implicano “l’eutanasia del rentier” e conducono in questo modo anche ad una riduzione degli extra-profitti derivanti da potere di monopolio.
[5] Haavelmo, T. (1945), “Multiplier Effects of a Balanced Budget”, Econometrica.13(4): 311-318.