di Giovanni De Sio Cesari ( Pubblicato su IL Riflettere)
il 15 maggio del 1891 Leone XIII pubblicava la enciclica Rerum Novarum, con la quale la Chiesa prendeva posizione sulla questione sociale. Sono passati 130 anni : quale valutazione possiamo dare oggi, con il senno di poi?
L’enciclica tratta molte questioni, ma a noi sembra che il punto centrale sia quello riassumibile nella idea della giusta mercede: il termine appare ovviamente antiquato, ma non certo il principio. Con esso si intendeva che al lavoratore deve essere corrisposto un trattamento economico adeguato, nel quale va inteso anche un trattamento normativo (orario di lavoro, pensione, assicurazione, ferie e cosi via)
L’effettivo salario e le norme restano comunque indeterminate : la questione dipende dalle circostanzi sempre mutevoli del momento storico economico
Nella società del tempo il salario era considerato una merce fra le merci , come si esprimeva Marx : il mondo della produzione segue le leggi economiche non quelle dell’etica. Se un capitalista paga gli operai più che i suoi concorrenti fallisce ed esce di scena : quindi il lavoro segue la legge della domanda e dell’offerta come ogni altra merce .
Non ci si può quindi affidare alla semplice buona volontà dell’imprenditori che, se anche quando essa ci fosse, non basterebbe. Sorge allora l’esigenza che sia lo stato a stabilire quale trattamento economico e normativo sia adeguato secondo le esigenze contingenti. Si indica quella che poi sarà chiamata la terza via fra socialismo e liberismo, che consiste, nella sostanza, nel contemperare l’uno con l’altro e sostituire alla lotta di classe la collaborazione fra le classi .
Nel passato pre-industriale, lo Stato esercitava solo funzioni primarie (a parte importanti eccezioni), poco si interessava dei problemi economici e, in genere, la stessa classe dirigente disdegnava gli affari e viveva di rendite fondiarie. Con la rivoluzione industriale la situazione cambiò radicalmente. Sorsero due scuole di pensiero: alcuni (liberisti) ritenevano che bisognava lasciar libere le attività economiche, abbattendo le regole consuetudinarie di origine medioevale ( feudalesimo, corporazioni, dazi e balzelli dappertutto ). Un altro filone invece, definiti socialisti, spaventati dalle condizioni miserrime delle masse lavoratrici, sostenevano in modi molto diversi che lo Stato dovesse avocare a se il mondo della produzione distribuendo poi i beni secondo un criterio di giustizia e uguaglianza sociale, finendo spesso in utopie fra religiose e positivistiche.
Con il senno di poi, constatiamo che le idee di collettivizzare tutta l’economia (comunismi di diversi indirizzi) sono fallite nella miseria, con milioni di morti per fame, o nei gulag, con repressioni mai viste nella storia; ma, d’altra parte, nei paesi liberisti (capitalisti) lo Stato ha assunto una pervasività mai vista prima: ha assorbito e enormemente ampliato le funzioni sociali e si è soprattutto incentrato sul ruolo economico in base al quale fondamentalmente ogni governo è giudicato e votato E’ quello che noi possiamo definire la terza via già indicata, almeno in prospettiva, dalla Rerum Novarum e che nel linguaggio politico moderno viene definita social democrazia .

Nella realtà, tutto il mondo avanzato dell’Occidente ha seguito questa via. Ricordiamo che fra i primi fu Bismark che certo di sinistra non era, che si rese conto dell’opportunità politica ed economica di migliorare le condizioni delle masse lavoratrici creando le basi della prosperità germanica che dura fino ai nostri tempi.
La spiegazione fondamentale della sua affermazione è che perché ci sia mercato non occorrono solo i produttori ma anche i compratori. Ora se la gente non ha in tasca soldi non compra, non importa quanto siano buoni e utili i prodotti. In una società industrializzata, in cui si producono grandissime quantità di merci, queste restano invendute se le masse sono povere.
Mancando i compratori la produzione entra in crisi, creando nuova povertà che deprime ancora di più la produzione L’azione normatrice e redistributiva dello Stato è quindi una condizione necessaria Se lo Stato toglie con le tasse una parte del profitto dei produttori e lo riversa sui più poveri, questi compreranno le merci e quindi si instaura un processo virtuoso utile per tutti: le tasse tornano a quelli che le pagano. In caso contrario si instaura un meccanismo vizioso che purtroppo ora constatiamo con la crisi della classe media
Si è avuto cosi quel progresso economico per cui il capitalismo ( liberismo) ha vinto la competizione con il comunismo
Concretizziamo ad esempio esaminando il caso dell’evoluzione dei sindacati
Nel passato erano in genere organizzazioni che raggruppavano i lavoratori in vista della rivoluzione ultima e definitiva che avrebbe abbattuto il capitalismo ( e per questo spesso dichiarati illegali). Nel secolo scorso si parlava ancora di cinghia di trasmissione del partito comunista, considerata l unica vera organizzazione dei lavoratori. Ma queste concezioni sono diventate obsolete nel senso che nessuno più (tranne poche eccezioni) pensa di abbattere il capitalismo ( liberismo) per sostituirlo con il comunismo. .
Il compito del sindacato moderno è quello di difendere gli interessi dei lavoratori ma questi coincidono fondamentalmente con quelli dell’impresa nella quale lavorano : se crolla l impresa, il lavoratore perde il lavoro e il proprietario se ne fa magari un’altra in qualche altro paese. Non si tratta quindi di lottare contro il padrone, ma di collaborare. Si tratta cioè di contemperare le esigenze dei dipendenti con quella della sostenibilità aziendale. In Germania nel consiglio di amministrazione vi è pure un rappresentante dei sindacati
Se un’accusa viene mossa ai nostri sindacati è proprio quella di prendere le parti del lavoratori a priori, anche nel caso che questi cerca scusa per non lavorare. anche se le pretese sono insostenibili
Con la globalizzazione, però, l’economia segue leggi mondiali, mentre lo Stato ha potere a livello nazionale e quindi le prime prevalgono sulle seconde.
In conseguenza, se aumentiamo salari e alziamo le tasse allora la produzione si sposta all’estero verso quei paesi che offrono salari e tasse più basse
Questo, a mio parere, è il problema del nostro tempo
In conclusione il problema del nostro tempo non è più quello ottocentesco fra socialismo e liberismo ma nell’individuare il punto di equilibrio più opportuno e realistico rispetto ai singoli particolari contesti dei singoli paesi o momenti storici
Non esiste più uno stato liberista cosi come non esiste più uno stato comunista: esistono solo stati che equilibrano la funzione pubblica con la produzione privata.