Vari autori considerano la teoria austriaca come appartenente all’economia eterodossa, ma ciò sembra inappropriato, in particolare per il lavoro di Friedrich August von Hayek. Infatti, non basta adottare una teoria diversa dai neoclassici per essere eterodossi. E ciò soprattutto se tale diversa teoria ha un carattere monistico e conduce ― attraverso un percorso solo apparentemente diverso ― alle stesse implicazioni di policy ideologiche dell’economia neoclassica (in particolare nelle versioni più estreme). Ma quali sono, in sintesi, le principali differenze tra la teoria neoclassica e la teoria della concorrenza di Hayek? Per i neoclassici, l’economia di mercato conduce, quando vi sia una concorrenza sufficientemente perfetta, ad una soluzione di equilibrio efficiente. Nel senso che le imprese minimizzano i costi ed i consumatori massimizzano l’utilità. Se invece i mercati sono imperfetti ― ad esempio per la presenza di monopoli ed oligopoli, asimmetrie informative, esternalità ― tale equilibrio efficiente non si verifica. La prescrizione di massima dei neoclassici è quindi il laissez faire, che però dovrebbe essere accompagnato da politiche della concorrenza rivolte a garantire il più possibile la perfezione dei mercati.
Rispetto a questa posizione, la teoria di Hayek può così sintetizzarsi*: la concorrenza è una discovery procedure il cui esito finale, il cd “ordine spontaneo”, non è possibile predire in anticipo. Se così stanno le cose, è inutile per l’azione pubblica cercare di ottenere mercati perfetti dove realizzare equilibri ottimali. Infatti, in questa incertezza del risultato, una cosa è certa: in un sistema di mercato capitalistico ― anche se vi è una struttura oligopolistica che limita fortemente la concorrenza ― conviene adottare il più completo laissez faire. Infatti, ogni intervento pubblico viene automaticamente associato alla “road to serfdom” della gestione centralizzata dei paesi del comunismo reale.
Questa teoria ha avuto un notevole successo, anche in ambito progressista, perché sembra più flessibile e dinamica. Ed ha sicuramente il merito di ricordare le imperfezioni dell’azione pubblica. In realtà, però, tale teoria ha dato anche luogo ad un «fondamentalismo del mercato» ― al quale anche Milton Friedman si è inspirato ― che ha costituito la base per la reazione neoliberista cominciata nella seconda metà degli anni 70. Ricordiamo che Hayek fu tra i principali fondatori della ultraliberista Mont Pelerin Society e che fu un importante ispiratore delle politiche di Reagan e della Thatcher.
Tale fondamentalismo del mercato è molto più ideologico e superficiale delle teorie dei primi neoclassici―basate comunque su ipotesi semplificatrici simili a un wishful thinking, come ad esempio la “razionalità” del consumatore.
Ad esempio, Alfred Marshall e Léon Walras ribadivano che i loro modelli si applicano solo in casi specifici, e che l’intervento pubblico è necessario per avvicinarsi alle condizioni di concorrenza perfetta.
Walras, in particolare, si spinse molto avanti in questa direzione. In un testo poco noto (e chiaramente «rimosso» dalla dottrina neoliberista), Studies in Social Economics, propose, nell’ambito di un’articolata teoria dell’azione pubblica e privata, l’abolizione delle tasse sul lavoro (inclusi i «salari di direzione», ossia i profitti al netto delle rendite derivanti dal potere di mercato); e, nientemeno, la completa nazionalizzazione della terra e di tutti i suoli pubblici, unita ad uno stretto controllo e/o alla nazionalizzazione delle public utilities.
In questo contesto, l’enfasi posta da Hayek sui risultati futuri incerti della concorrenza ― per quanto sia utile ribadirne l’importanza ― tende a far passare sotto silenzio gli effetti negativi nel presente di gravi imperfezioni di mercato (ad esempio, il potere dei grandi gruppi) le quali limitano e condizionano fortemente la portata della discovery procedure. Ma per Hayek i mercati, anche se dominati dalle multinazionali, funzionano bene, tranne uno (ed è facile indovinare quale): quello del lavoro, dove i salari rigidi per l’azione dei sindacati sono considerati la principale causa dei problemi economici (inclusa la crisi del 29). Ed ovviamente la teoria di Keynes è uno dei principali bersagli di Hayek.
Inoltre, la discovery procedure non basta a rendere dinamica tale teoria perché tale processo è comunque implicito nei modelli neoclassici (che sono essenzialmente statici).
In effetti, per rendere dinamica (ossia evolutiva) l’analisi dei mercati ci vuole ben altro, ossia considerare la dimensione istituzionale, culturale e psicologica del mercato. Un’importante intuizione di questo approccio (ad esempio nei lavori di John Rogers Commons) è che una parte sempre più significativa dell’azione individuale è svolta non in un vacuum ma in istituzioni di vario tipo. Ciò si accompagna al passaggio dal capitalismo individuale (comunque supportato dall’intervento pubblico) al “capitalismo concertato” o “economia mista” del periodo attuale. Inoltre, anche quando l’azione appare puramente individualistica — ad esempio, in uno scambio isolato tra venditore e compratore — vi è la presenza implicita di un elemento collettivo, rappresentato dall’insieme delle norme, istituzioni e politiche che rendono possibile tale transazione.
In tale ambito, il corporate planning, analizzato dagli economisti istituzionali, costituisce la realtà delle moderne economie capitalistiche. In questo sistema, il “libero operare delle forze di mercato” è fortemente condizionato dagli interessi delle grandi imprese, che posseggono un’ampia varietà di strumenti per influenzare le scelte di politica economica. Il corporate planning è altamente gerarchico, in quanto le principali decisioni vengono prese dal top management con scarso coinvolgimento dei lavoratori e dei cittadini.
Quindi, è comunque un insieme di norme, di istituzioni e di politiche – ossia l’azione pubblica, da Hayek così aborrita – che rende possibile l’esistenza delle imprese private in un’economia di mercato. Il problema è quindi orientare l’azione pubblica verso obiettivi di interesse collettivo attraverso un processo di programmazione democratica**. Tale sistema può essere ben compatibile con un’economia di mercato, nell’ambito di un principio di sussidiarietà.
Arturo Hermann
* Consideriamo in particolare, senza ovviamente nessuna pretesa di completezza, l’articolo di Hayek, “Competition as a Discovery Procedure”, The Quarterly Journal of Austrian Economics, Vol. 5, N.3 (Fall 2002): 9–23, che costituisce una traduzione di una conferenza tenuta nel 1968 all’Università di Kiel.
** Per maggiori dettagli si rimanda anche al nostro
Il Neoliberismo, l’Ordoliberismo e l’Analisi Istituzionale del Mercato – TOGETHER (wordpress.com)