di Ludovica Radif
Uno spettacolo cofinanziato dal “Programma Straordinario 2020 In Materia di Cultura e Spettacolo” Azione 3 della Regione Puglia, che ha avuto il suo debutto, nei giorni scorsi, al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi, ed è in programma, in attesa della tournée invernale, per il 20 giugno a Gagliano del Capo, il 2 luglio a Mesagne e il 3 luglio a Torre Guaceto.
Il viaggio come investimento di una vita, navigare come scelta esistenziale, forma irrinunciabile per rispondere agli interrogativi profondi. Così Gulliver si racconta all’incontro con un lillipuziano: più che gli sfondi di meraviglia atti a lasciarci intuire paesaggi altrove, quello che scatena il giusto effetto della estraneità è il semplice, riuscitissimo, espediente di far camminare sulle ginocchia l’omino lillipuziano: in questo modo, la naturale sproporzione dell’altezza lo rende anomalo ma credibile, con quei capelli biondi spazzati dal vento che lo dichiarano quasi asessuato. Anche la dialettica dei due risulta del tutto convincente, tesa sul filo logico di una filosofia portavoce di istanze fallaci, giochi di potere, piccinerie tutte, se viste appunto in un’ottica ultra-galattica quale quella dei viaggi di Gulliver, ripresi liberamente dall’originale settecentesco di Jonathan Swift…Non ci vuol molto a finire vittima degli inganni di una burocrazia di false giustizie e fasulle punizioni: il protagonista, l’uomo-montagna, come lui stesso viene definito nella prospettiva miniaturizzata dei locali, deve migrare verso altre mete, sempre inseguendo il suo più profondo obiettivo, quello di farsi uomo migliore; come medico si direbbe un po’ superato, specie rapportato a quel bracciale-radio luminoso con cui l’indigeno intrattiene una sorta di diario in diretta con un’ipotetica base dati. È la volta della terra dei giganti, l’enorme bambina di cui si vedono appena le gambe nel video, a dimostrare che non può entrare nella cornice di scena prevista, e poi ancora in altro contesto, questa volta meno idilliaco, di monti, nevi e incendi di guerra… È lì che si capisce la grande montatura che vorrebbe presentare i Blefuschiani (i rivali di Lilliput) come malvagi, in un orizzonte in cui la guerra peraltro scaturisce da stupidate. E’ piuttosto la dimensione del ballo (anche se costretto), in cui Massimo può sfoggiare le sue capacità ereditate dalla danza classica, a creare i presupposti per una collaborazione; ciò che trapela dalle esperienze è il grande bisogno di amore e la meschinità delle istituzioni. Siamo all’incontro con uno scienziato, munito di carrello da gelataio per le sue discutibili invenzioni, alla ricerca di una democrazia e di un’accademia alternative… Come spesso succede nei racconti di favole, e nella tradizione degli animali parlanti, l’ultimo incontro è quello determinante, perché finalmente vi fa capolino una certa qual saggezza. Il cavallo è l’animale prescelto (contrariamente ad altri casi in cui si parla piuttosto dell’elefante), gli houyhnhnm di Swift, qui in scena una simpaticissima ed eterea versione antitetica rispetto al centauro (perché ha testa di cavallo e corpo di uomo!), che si muove a balzelli come in un trotto, ma felpatissimo… Ed è proprio nel dialogo con il cavallo, nella sua manifesta saggezza superiore, che Gulliver trova una sua identità, al di là del nome di famiglia Gulliver: il nome proprio Lemuel. Il cavallo gli magnifica il loro mondo fluido, addirittura anticipando il superamento delle barriere di sesso e genere di cui oggi tanto si discute; l’idillio non manca di incrinarsi in alcuni punti dolenti, come quando il Consiglio equino sancisce che non si può accogliere l’uomo nuovo Lemuel nella loro dimensione, perché finirebbe col corromperla: lì miseramente cade tutta la visione illuminata che la filosofia di serena accettazione dei limiti e dei ritmi di natura aveva lasciato presagire… Alla nostalgia di casa che odissianamente afferra il viaggiatore assetato di sempre nuove esperienze non fa seguito come invece nell’epica la ripresa di una quotidianità arricchita, e l’uomo si trova estraneo in patria, costretto a vivere in una barca di isolamento…
Chiara quindi la ricchezza di spunti del testo originale, mantenuta anche nella sua varietà di livelli di comprensione, come hanno ben dimostrato i bambini presenti in sala entusiasti di alcune trovate sceniche più vicine alla dimensione ludico-fantastica. E il lungo percorso di gestazione ha lasciato allo spettacolo vari livelli di riflessione, da quello più spiccatamente etico-politico, a quello sociale, con un linguaggio chiaro, alleggerito dalle movenze degli attori, davvero abili a conferire la giusta ironia ai concetti seri espressi. Nel contesto attuale di ripartenza e desiderio di viaggi, Maurizio Ciccolella ha dato un segnale chiaro di moderata fiducia nei confronti di un domani, sentito come affascinante e trascinante, ma da conquistare con la giusta dose di caparbietà e diffidenza.