di Mario Pizzoli
Questo era, per i più giovani, il titolo di una trasmissione forse fatta alla buona, non troppo sofisticata, dati anche i tempi, che però è passata alla storia, almeno televisivamente parlando, come una di quelle attività che rivoluzionarono il panorama dell’istruzione nel decennio tra il 1960 e il 1970
Da Wikipedia: “La trasmissione, promossa dalla Rai in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, ebbe inizio il 15 novembre 1960 e venne mandata in onda nella fascia preserale, anche per permettere a chi lavorava di potervi assistere. Furono realizzate 484 puntate fino al 10 maggio 1968, anno in cui poté essere sospesa grazie all’aumento della frequenza alla scuola dell’obbligo. La trasmissione era condotta dall’educatore Alberto Manzi con il fine d’insegnare lettura e scrittura agli italiani fuori età scolare ancora totalmente o parzialmente analfabeti. Si trattava di autentiche lezioni in classe in diretta televisiva durante le quali Manzi utilizzava moderne tecniche di insegnamento consistenti in filmati, supporti audio, dimostrazioni pratiche, nonché degli schizzi e dei bozzetti disegnati dallo stesso Manzi su una lavagna a grandi fogli.”

Insomma, un educatore, un Maestro, si rende conto della condizione difficile degli italiani che, quanto ad istruzione, lasciavano molto a desiderare creando povertà e subordine e s’inventa quella che oggi considereremmo a pieno titolo Didattica a Distanza, e multimedialità didattica.
Ricordo ancora da bambino, le lezioni nei filmati un po’ precari del tempo in B&N, ma molto chiare e tutto sommato appassionanti. Vedere il Maestro Manzi disegnare animali e cose su una “flip chart”, la lavagna a fogli mobili, era affascinante e divertente. Da quel momento, dopo quasi 500 lezioni, il tasso di scolarità finalmente raggiungeva livelli accettabili che via via sarebbero aumentati debellando in massima parte la piaga dell’analfabetismo.
A distanza oggi di 60 anni, a causa del CoVid, ci si interroga sugli effetti nefasti sulla psicologia dei bambini, della DAD, appunto la didattica a distanza. Nel frattempo, orde di professionisti preparano ogni giorno presentazioni e lezioni di cui gli utenti del settore industriale possono fruire comodamente a casa e alle ore più consone, proprio come fece la RAI che mandò le lezioni di “Non è mai troppo tardi” in fascia serale per permetterne la fruizione a chi lavorava durante tutto il giorno.
Quindi, nel 1960 si poteva fare didattica a distanza, oggi esistono decine di agenzie grafiche e di comunicazione, nonché professori, divulgatori e speakers che preparano decine di lezioni sugli argomenti più disparati, e tutto quello che sappiamo dire oggi sulla DAD è che crea dei disadattati perché i bambini non socializzano?
Si è possibile che una DAD prolungata possa spezzare il legame scolastico e rendere più complicato il rapporto con gli altri bambini/ragazzi, ma credo si stia esagerando, o per lo meno si stiano volutamente e strategicamente dimenticando altre ragioni, in alcuni casi le sole, che inducono i genitori a tuonare contro la DAD. Molti genitori in realtà non sanno come gestire i propri figli perché allo stesso momento devono ottemperare agli obblighi di lavoro, e quindi la scuola, quella in presenza, ha un ruolo fondamentale nel gestire i bambini/ragazzi almeno per mezza giornata, riducendo le necessità dei genitori in quanto a presenza. La DAD ovviamente inquina questo rapporto e lo sconvolge, rendendo la vita dei genitori impegnati in lavori di qualunque genere, più complicata o dispendiosa (necessità in qualche caso di baby sitting). Però è solo parzialmente vero, e per nulla diffuso, che alla DAD corrisponda una generazione di ragazzi disadattati e isolati. E’ vero, la presenza è insostituibile per certe attività (ok, si le prime cotte, e le prime scazzottate) ma in generale la socialità nell’attuale scenario digitale, a parte qualche caso, è conservata senza problemi. Alla mia età non esistevano le videochiamate, e tanto meno le chiamate di gruppo, non esisteva la rete, né le chat. I videogiochi live non esistevano, e insomma, la scuola era realmente l’unica occasione per incontrarsi. Poi si andava al muretto, o al parco a giocare a pallone. Insomma, non credo affatto che la DAD sia il preludio a una futura masnada di disagiati mentali. Credo che si debba far di tutto per assicurare la scuola in presenza, ma in caso di rischi importanti, la DAD è realmente un’ottima, collaudata soluzione. Magari è importante anche supportare genitori che lavorano e a basso reddito nella gestione del controllo dei figli, ma demonizzare la DAD (come lo smart working) rappresenta un esercizio di cecità i cui limiti potrebbero avere conseguenze disastrose nelle scelte del governo.
Scuola e pubblica amministrazione dovrebbero tesaurizzare la lezione duramente impartita dal CoVid non solo per presentarsi preparata alla prossima terribile evenienza, ma anche cambiare paradigma e adattarsi alle nuove tecnologie, e ad un mondo che cambia modo di essere, confrontarsi e interagire