di Fabio Colasanti

Il Next Generation EU prevede interventi attraverso vari strumenti.

Lo strumento principale è il cosiddetto Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza che dispone di 672.5 miliardi di euro. Il resto dei fondi vanno a altri programmi europei più piccoli e, in parte, pre-esistenti: ReactEU, Horizon, Invest EU, Just Transition Fund, Rural Development, RescEU.

A sua volta, il Dispositivo per la ripresa e la resilienza prevede prestiti ad alcuni paesi per 360 miliardi di euro e spese da effettuare nei vari paesi a carico del bilancio comunitario per 312.5 miliardi di euro. L’Italia potrebbe avere prestiti per circa 120 miliardi (nessun paese può avere prestiti per un importo superiore al 6,8 per cento del suo PIL del 2019) e spese dal bilancio comunitario per cifre comprese tra i 70 e gli 82 miliardi, a seconda delle decisioni prese sui programmi nazionali per la ripresa e la resilienza e negli altri programmi più piccoli.

I prestiti dovranno naturalmente essere rimborsati come ogni prestito. Ma in questo caso si dovrebbe dire “meno” gli interessi visto che l’Unione europea riesce al momento a raccogliere fondi sul mercato dei capitali a tassi di interesse negativi (si rimborsa qualcosa di meno di quello che si è preso in prestito). Il tasso di interesse sui prestiti UE ai vari paesi è esattamente quello al quale l’UE si indebita sul mercato dei capitali. La maggioranza dei paesi europei non farà però ricorso a questi prestiti perché già oggi questi paesi possono indebitarsi sul mercato dei capitali a tassi di interesse praticamente uguali o più bassi di quelli che riesce a spuntare l’Unione europea. I titoli emessi per finanziare le spese dal bilancio comunitario (360 miliardi di euro attraverso i vari strumenti) dovranno anche loro essere rimborsati su di un periodo di trenta anni a partire dal 2028. Il rimborso di questi titoli sarà effettuato a partire dal bilancio comunitario che, a sua volta, dovrà ricevere i fondi dai singoli stati membri.

I contributi dei singoli stati membri a questa spesa di 360 miliardi di euro su trenta anni saranno effettuati secondo la chiave di ripartizione prevista per il bilancio UE: la quota di ogni paese nel Prodotto nazionale lordo dell’Unione europea. Questa chiave di ripartizione si applica alla parte del bilancio comunitario che non è finanziata da “risorse proprie”. Oggi la parte del bilancio europeo non finanziata da risorse proprie (una quota della base IVA e i dazi doganali sulle importazioni nell’UE) rappresenta qualcosa di più dei tre quarti del bilancio UE.

La decisione sul Next Generation EU ha anche previsto di introdurre nuove risorse proprie per aumentare il loro contributo al bilancio comune. La quota che i paesi dovranno finanziare con trasferimenti diretti dai loro bilanci nazionali sarà quindi ridotta in misura corrispondente al gettito di queste nuove risorse proprie di cui si parla da decenni. Negli anni novanta, quando ero direttore per le entrate nella direzione generale del bilancio della Commissione europea, avevo curato un rapporto sulla possibilità di introdurre alcune nuove risorse proprie. Dieci anni dopo Mario Monti guidò un gruppo di lavoro che analizzò in maniera esaustiva il problema. Ma eventuali nuove risorse proprie non significano soldi che cadono dal cielo. Le nuove tasse che potrebbero costituire delle nuove risorse proprie UE saranno sempre pagate dalle imprese e dai cittadini dei vari paesi UE. Il gettito delle nuove risorse proprie sarà sempre raccolto in ogni paese dalle pubbliche amministrazioni nazionali e trasferito alla Commissione europea.

Ma ci saranno due differenze importanti. La prima, molto importate dal punto di vista politico, è che il gettito di queste tasse andrà direttamente ad alimentare il bilancio UE senza la necessità di ulteriori decisioni. La seconda è che la ripartizione del peso del pagamento di queste tasse tra gli stati membri dipenderà dalla natura di ogni singola tassa e dal consumo in ogni paese dei beni o servizi che saranno tassati.

E’ quindi difficile prevedere esattamente quanto l’Italia sarà un giorno chiamata a trasferire al bilancio UE come contributo per il rimborso di questa parte dei titoli che saranno emessi. Ma è quasi sicuro che la cifra sara inferiore a quanto speso in Italia a partire dal bilancio comunitario con il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e gli altri programmi più piccoli per una buona ventina di miliardi di euro. Questa differenza sarà finanziata dai contribuenti di quei paesi che ricevono ben poche spese attraverso questo dispositivo. Per questi paesi il Next Generation EU è praticamente solo una fonte di spesa. L’aumento di spesa annua nazionale dei bilanci belga e tedesco (due paesi per i quali ho verificato le cifre) nei prossimi sei anni grazie al Next Generation Eu è di circa mezzo punto percentuale all’anno.

L’Italia ricava dei benefici dal Next Generation EU attraverso tre canali.

Il primo sono gli almeno venti miliardi di euro appena menzionati.

Il secondo è dovuto al fatto che il rimborso degli eurobond emessi per finanziare le spese comuni sarà rimborsato, come già ricordato, su trenta anni a partire dal 2028. Quindi l’Italia ha il vantaggio di pagare come interessi su questa cifra presa in prestito (da 52 a 60 miliardi di euro) tra 9 e 11 miliardi di euro meno di quanto avrebbe speso raccogliendo questa cifra attraverso l’emissione di titoli di stato italiani. Ai tempi in cui la decisione politica sul Next Generation EU è stata presa (luglio 2020) questa differenza (risparmio) era molto più forte.

Il terzo elemento è dovuto ai risparmi sui prestiti diretti (ipotesi di 120 miliardi di euro). Qui il risparmio è oggi stimabile in circa 22 miliardi di euro (anche qui il vantaggio stimabile a luglio scorso era molto più alto).

Quindi il vantaggio puramente finanziario per l’Italia del Next Generation EU è oggi stimabile in 51/53 miliardi di euro. A questa cifra vanno aggiunti il miliardo e mezzo circa di risparmi sui prestiti SURE e potrebbero essere aggiunti i tre miliardi di euro di risparmi sui prestiti del MES. Siamo in una situazione strana (ma positiva) dove il fatto stesso di aver preso una grossa coraggiosa iniziativa a favore di alcuni paesi ne ha ridotto il valore monetario !

Il fatto che l’Unione europea abbia deciso per la prima volta un’operazione come il Next Generation EU ha convinto i mercati della determinazione dell’UE di lottare assieme contro la recessione provocata dalla Covid e ha fatto scendere gli spread. La decisione del Consiglio europeo di lanciare il Next Generation EU ha dato un quadro politico forte all’azione della BCE che ha potuto decidere di continuare gli interventi già lanciati all’inizio del 2020.

Avevamo visto una cosa simile nel 2012 quando il famoso annuncio di Mario Draghi del 26 luglio 2012 sul fatto che la BCE avrebbe fatto il necessario per salvare l’euro (Whatever it takes) era stato reso possibile dalle conclusioni del Consiglio europeo di qualche giorno prima (29 giugno 2012).

 La BCE è indipendente dai governi, ma non opera nel vuoto.