di Laura De Barbieri
In Ucraina vogliamo la pace. Le donne tutte vogliono la pace. Le donne, quelle che non decidono mai delle guerre degli uomini e quelle che non sono mai invitate ai negoziati per la pace. Quelle che si ritrovano solo coinvolte, con i figli, gli anziani e gli animali domestici a mettere insieme i cocci, i pezzi per la sopravvivenza di intere famiglie.
Le abbiamo viste morire sotto le bombe nel totale anonimato, come la donna di Irpin caduta sull’asfalto con i suoi due figli appresso. Le abbiamo viste a Mosca deporre fiori con i loro bambini davanti all’Ambasciata ucraina, prima di essere messi tutti dietro le sbarre, abbiamo visto Hassan, un bambino di appena 11 anni di Zaporizhzhia, mandato solo allo sbaraglio, con un numero di telefono scritto sulla mano, nell’estrema speranza di salvarlo.
Abbiamo visto una donna rifocillare con tè caldo e pagnotta un soldato mandato a prenderle tutto, dignità, libertà e vita inclusa. Un giovane soldato, come tanti altri, perso, affamato, spaventato e ingannato al quale è stato detto che andava a fare esercitazioni in Crimea e che invece scopre di essere al fronte, in una vera guerra. La giovane donna presta il suo telefono e il soldato chiama la persona – l’unica – che incarna l’amore, la vita, il calore, la forza e la stabilità, sua madre.
Le madri piangono e anche le madri russe che cercano i loro figli dispersi, caduti o feriti, tramite le foto di corpi e volti deturpati del canale Telegram Ishi svoih, ossia «Cerca il tuo». Kirill, il bambino di 18 mesi morto sotto le bombe a Mariupol non vedrà più sua madre, sfigurata dal dolore, mentre a San Pietroburgo, Yelena Osipova, anziana sopravvissuta all’assedio di Leningrado, dice: “Soldato, metti giù le tue armi e sarai un vero eroe”.
E allora perché, ancora e ancora, non ammetterci mai nei posti decisivi? Perché non tenere mai conto delle nostre parole, della nostra esperienza, della nostra saggezza? Non rispondete, non siete più credibili. Anche Yelena è stata arrestata.