di Mario Pizzoli
Sono un cittadino, non importa dove. Sono un cittadino di un paese in guerra. Ci sono cresciuto, con la guerra, vado, scusate, andavo a scuola in paese, e dico andavo perché un missile l’ha centrata sventrandola e lanciando detriti dappertutto. C’era il Maestro, che mi ha insegnato la storia e la geografia, e che mi diceva che come me c’erano altri ragazzini in giro per il mondo che pativano gli stessi problemi. Ragazzini in teatri di guerra. Abitavo vicino al fiume, ma quando sono arrivati i soldati giusto un anno fa ci hanno fatti spostare più a sud, e ci hanno fatto il Quartier Generale, nella nostra casa. C’era il giardino, con la grande palma, ora c’è solo terra e tanto materiale accumulato.
Il Maestro mi diceva anche che le guerre sono importanti se le hai vicine, altrimenti non interessano nessuno più. Era bravo il Maestro. Ora è sepolto sotto la scuola. E la guerra nel nostro paese non interessa nessuno, nessuno ne parla, nessuno ci aiuta, siamo qui con la paura delle bombe, e con la paura che un missile arrivi e ci spazzi via come un colpo di scopa. Perché mica lo sai quando arriva, e non sai cosa arriva. Non sai se sarà una granata, o il colpo di un cecchino o una proiettile vagante. E penso che sia ingiusto tutto questo, proprio mentre mi guardo la ferita che sanguina, il sangue che imbratta la maglietta della mia squadra preferita. Non mi sente nessuno qui, sono tutti altrove, e mentre penso queste cose vedo il Maestro che mi chiama, ma non so cosa fare, sento gli occhi pesanti, come quando ho sonno, quando mi sdraio nel letto. Papà, mamma. Allungo la mano, ma raggiungo solo il muso di Argo, che sanguina anche lui e sospira male. Come me.
E mi addormento.
Per sempre.
Ciao Mamma, ciao Papà, ciao Argo. Ci vediamo su.
Se anche un solo bambino è morto così, è anche colpa nostra. Non scordiamocene. #stopwars
