di Angelo Pizzuto

Attore dalla natura indecifrabile ed anche versatile e camaleontico, esemplare per l’enigmatica espressività delle sue “sfumature” nei ‘piani’ ravvicinati’,  William Hurt scompare a Portland una settimana prima del suo 72° compleanno.

Premio Oscar per “Il bacio della donna ragno” nel 1986, era stato candidato di nuovo alla statuetta nel 1987 per “Figli di un dio minore” di Randa Haines, nel 1988 per “ Dentro la notizia “ di James L. Brooks e nel 2006 per “A History of violence” di David Cronenberg. Era stato candidato anche ai Tony Award nel 1985 per “Hurlyburly” e due volte agli Emmy,nel 2009 per la serie Damages e nel 2011 per il film tv “Too Big to Fail – Il crollo dei giganti.” Avendo Hurt già  conquistato un posto  di rilievo nella storia del cinema sin dai tempi de “Il grande freddo”, “Gorky Park”, Brivido caldo”, “Turista per caso” (struggente e immota la sua immagine di genitorialità perduta)

 Un’infanzia segnata dal ‘guerreggiato’ divorzio dei genitori, un’adolescenza toccata dalla prematura morte della madre, una vita sentimentale inquieta e turbolenta, una professionale stressata dal caos emozionale, non hanno impedito all’attore di compiere una carriera intensa e suffragata dal successo fin dalla prima interpretazione in  “Stati di allucinazione” del 1980. In lui il regista Ken Russell colse l’espressione stupita e profonda dei grandi occhi azzurri, il fuoco trattenuto dello spingersi sempre all’estremo, la dicotomia tra una recitazione così naturale da apparire invisibile e un incoercibile dolore interiore.

A suo modo, Hurt “rappresentò, in un cinema avviato all’ omologazione, la seduzione della coscienza, qualcosa che sfugge a una visione superficiale” (M.Porro). Fu una presenza basilare in film come “Smoke” di Wayne Wang (Orso d’oro a Berlino). Riservato  e, a suo modo, sfuggente, enigmatico, l’attore fu scritturato anche da Franco Zeffirelli, per il quale interpretò il ruolo di protagonista romantico in “Jane Eyre”; poi, diede  prova di buon attore brillante in “Michael” di Nora Ephron.

 L’ultima parte della carriera di William Hurt si espleta prevalentemente sulle tavole del palcoscenico (molto Shakespeare a Broadway), suffragata  in kolossal per “A.I. Intelligenza artificiale” di Spielberg e poi nell’inquietante, profetico “History of violence” di Cronenberg, dove “allena la sua espressività a rendere i tanti volti  della violenza contemporanea”.