di Laura De Barbieri

Poche storie, quando si fa un commento o un complimento ad una donna è prima di tutto del suo aspetto fisico che si parla. “E’ carina”, “bella”, “figa”, “bona” e, al negativo, “bruttona”, “bruttina” , “racchia” si riferiscono sempre all’aspetto fisico.

L’aspetto fisico curato e attraente, raggiunto al massimo livello possibile per ognuna secondo le proprie possibilità finanziarie è, per noi donne, un dovere sociale sancito, consolidato e appreso fin dalla nascita. Il “Non si nasce donna, lo si diventa” di Simone de Beauvoir. Agghindate in rosa con paillettes e tessuti leopardati, le ballerine e principessine giocano con scopette, bambole e pentolini aspettando l’adolescenza. Con lente d’ingrandimento trucco e parrucca, peli eradicati ovunque prima ancora che nascano, tocchi e ritocchi su tutto il corpo, sempre all’assalto delle ultime soluzioni, consigliate da amiche e da riviste create ad hoc per farci sentire un pò meno indegne. Ore di lavoro settimanali per piacerci quando in realtà è un piacer-gli quello che conta e l’entrare nella bramata categoria delle belle cioè delle “scopabili”. Ci passiamo tutte e poche escono dall’imbuto indenni.

Ci ritroviamo in ansia a domare la natura come un giardiniere intransigente con le erbacce del suo giardino perché ciò che è fisico è contro la nostra ormai acquisita natura femminile. E se la natura ha creato l’uomo con attributi diventati sinonimo di virilità, la donna è condannata a vita ai lavori forzati per la femminilizzazione. Risultato? Non possiamo neanche riconoscere il nostro corpo tanto l’abbiamo bistrattato.  Già, un corpo mai conosciuto o visto al naturale, un corpo perso.

E distratte su questi fronti della mortificazione estetica, come possiamo trovare le energie per lanciarci in incarichi di responsabilità, di prestigio, di impegno. Sarà questa la cultura? I nostri dubbi sono ormai tanti.