di Giovanni De Sio Cesari

Sin dal suo primo  manifestarsi il brigantaggio meridionale post unitario ha avuto due interpretazioni : criminali o patrioti e dopo 160 anni  il dilemma si è rinnovato  Se alcuni, fonti alla mano, mostrano che in effetti i briganti commettevano quelli che vengono definiti crimini comuni ( estorsioni, furti,  sequestri per riscatto omicidi ), altri invece li mostrano in un alone romantico di  indomiti  resistenti  all’ invasione piemontese, di difensori di un certo regime politico,  insomma di combattenti del trono e dell’altare.

Nell’anno del suo esplodere, nel 1861,  ci furono, infatti, quelli che li considerarono  criminali e basta come il Cialdini e in genere l’esercito regolare: però si sa  che i militari combattono il nemico e basta , non si pongono problemi d’interpretazione politica e tanto meno dove sia il bene o il male. Il mondo politico unitario e liberale  non riconobbe loro il ruolo politico,  riconoscendo però che dovevano pure esserci delle cause politiche sociali perché,  se esplode una particolare criminalità, vi saranno pure cause particolari.

 Il mondo politico oscillò fra la semplice repressione, che comunque doveva esserci e non poteva non esserci ( la destra), e l’esigenza molto sentita a sinistra, nel mondo che si ispirava a Garibaldi,  di comprendere meglio  le ragioni, le motivazioni, gli errori fatti dallo Stato, a prescindere che la repressione fosse comunque necessaria.

In particolare, si ricorda il deputato Ferrari che si mosse dalla sua Milano per raggiungere i remoti paesini del sud  dove infuriava il brigantaggio . Forse unico  fra i politici, andò ad interrogare direttamente le vittime di quelle  lotte furiose. Fu in particolare a  Pontelandolfo dove parlò direttamente  e personalmente  con i paesani raccogliendone i racconti, che poi presentò in un lungo e intenso discorso alla Camera.

 Dall’altra parte,  quei fatti furono intesi come un movimento  di genuina e spontanea rivolta  del vero popolo contro la vera tirannia dei liberali che volevano imporre   il loro blasfemo credo a quelli che seguivano invece il  proprio credo.

 In particolare, si segnalò il De Sivo che descrisse punto per punto tutti i fatti come una resistenza popolare a indomita, tutti gli interventi dell’esercito  come una repressione feroce e spietata  contro un popolo reo di voler solo difendere la propria  cultura. La propria way of life, come diremmo noi moderni.

 Partirono allora dalla Francia e soprattutto dalla Spagna vari personaggi,  a mezzo fra l’avventura e la missione etico religiosa, per aiutare e porre ordine in quelle orde disordinate con la chimera di poterli trasformare in una armata in grado di cacciare gli invasori e di ripristinare i  legittimi sovrani, il diritto e le giustizia insomma .         

In particolare si distinse il Borjes,  che con pochi compagni  riuscì, dopo  un lungo e avventuroso peregrinare, ad incontrare il più famoso dei capi briganti, Carmine Crocco  .  Con le bande di briganti   affrontò un reparto dell’esercito regolare italiano in uno scontro aperto ad Acinello  e lo  sconfisse.  

Tuttavia,  il progetto di creare un’armata di briganti si rivelò una illusione  del tutto irrealizzabile. Borjes cercò di ritirarsi verso gli Stati Pontifici , ma quasi al confine presso  Tagliacozzo  fu tradito , arrestato e fucilato senza processo.

Il dibattito si è riacceso poi ai nostri tempi in termini quasi immutati .

 E’ nato un movimento filo -borbonico che ha riscoperto o almeno creduto di riscoprire i fasti del regno borbonico, i primati di quel regno, che ha rivalutato l’insieme del regno dei Borboni e conseguentemente  messo in forse o almeno  fortemente ridimensionato la tradizionale e ormai secolare esaltazione del Risorgimento e in particolare dell’impresa dei Mille. Non che si metta in dubbio la buona fede di Garibaldi e dei garibaldini  ma, al di  sotto delle belle illusioni, si mostra una realtà ben diversa con sopraffazioni, spoliazioni, oppressione,  insomma una specie di colonialismo dei piemontesi , più ampiamente del Settentrione nei riguardi del  Meridione . In questa prospettiva si sono esaltati i momenti di resistenza , soprattutto della battaglia di Acinello,  le gesta dei briganti come di resistenti,  sia pur rozzi e ignoranti  e anche violenti, magari.  Vi sono state un gran numero di pubblicazioni (soprattutto “il sangue del sud”  di Giordano Bruno Guerri del 2010),  lavori cinematografici (soprattutto” LI  chiamarono…. briganti! “ di Squittieri del 1999) e anche vari  brani in cui brillò musicalmente Peppe Barra ( brigante se more).

Altri storici hanno ridimensionato i supposti splendori del regno borbonico con  dati oggettivi e fonti alla mano hanno mostrato come i briganti  fossero prima di tutto colpevoli di delitti comuni ( grassazioni, ricatti, omicidi ) , che le repressioni dell’esercito, sia pure dure  non furono massacri indiscriminati , quasi vicini al genocidio, ma che le vittime si contavano a decine non a migliaia.

 Rimane  però per noi il quesito se i briganti, agissero semplicemente per motivi criminali ( sia pur  spinti da gravi motivi sociali) o se  comunque avessero, sia pur confusamente, un ideale politico  da perseguire .

A nostro parere il problema cosi è mal posto.

I briganti erano briganti e non partigiani di un credo politico. non erano garibaldini al contrario. Il brigantaggio non era una esclusiva del meridione di Italia ma un fenomeno  diffuso  un pò dovunque : si pensi al “Passator cortese” cantato dal Pascoli in “Romagna” .

Si diventava brigante perché si era commesso un crimine: spesso i briganti parlavano di un delitto di onore per giustificarsi moralmente , ma di rado questa era la verità. Per esempio,   nella sua  autobiografia, il più noto dei briganti meridionali, Carmine Crocco,  parlò di un delitto per difendere l’onore della sorella ma in realtà risultò che si trattava  di un delitto per la  spartizione dei proventi di un furto.

 Il colpevole allora per sfuggire all’arresto era costretto a fuggire lontano dai centri abitati,  nei boschi, sulle  montagne prive di strade , di difficile accesso, dove le delegazioni  di polizia non potevano raggiungerli.  Si davano quindi a furti e rapine, soprattutto rendendo mal sicure le strade. Occorreva allora l ‘esercito per snidarli.

 Tuttavia la vita del brigante era estremamente dura, incerta, sempre  alla ricerca di un rifugio, di cibo, sempre in pericolo. In fondo non aveva speranza , prima o dopo sarebbe finito sulla forca o ucciso. L unica speranza era la grazia reale per qualche merito particolare. Cosi il più noto dei  briganti del 1799,  fra Diavolo, combatté contro i francesi di Championet che avevano invaso il regno, altri briganti si aggregarono all’armata del cardinale Ruffo che riconquistò il trono per i  Borbone. Nel 1860 alcuni briganti ( Crocco ad esempio)  si aggregarono all’esercito di Garibaldi nella speranza della agognata grazia  che tuttavia non ottennero e molti, moltissimi altri, invece, si proclamarono seguaci e fedeli del re deposto nella speranza che un giorno questi avrebbe recuperato il trono  e concesso loro la grazia, come era avvenuto nel 1799.

 La speranza era del tutto vana, ma essi la consideravano abbastanza probabile. E poi che altra  speranza potevano avere?

 Il brigante quindi di per sé non è mosso da motivi politici.

 Tuttavia questo non significa che nelle province del sud non ardesse una scontro politico  violento e sanguinoso fra i sostenitori dell’antico regime , quasi sempre popolo basso, cafoni,  come si diceva e le persone che seguivano il nuovo corso, quasi tutti   possidenti, come di diceva, e le persone colte  ( i due concetti coincidevano o quasi).  

Era un fenomeno antico risalente a qualche generazione precedente.

  La Rivoluzione Francese fu sostenuta anche dalla parte più povera ( sanculotti) e dai contadini  contro la nobiltà e i residui  feudali, ma si ebbero anche movimenti di popolo contrari che scesero in lotta per l’antico modo di vivere, la loro cultura secolare. Anche nella stessa Francia si ebbe la rivolta indomita della Vandea, ma un pò dappertutto  ci furono moti antirivoluzionari. E cosi anche nel Tirolo,   i montanari guidati da Andreas Hofer  si opposero fieramente all’esercito francese,  in Spagna esplose  la guerriglia, e un pò dappertutto  si ebbero dei moti contrari.

 Restringiamo il campo al nostro Meridione.  L’esercito francese guidato da Championet non trovò gran  resistenza dall’esercito regolare e il re Ferdinando fuggì precipitosamente senza  nemmeno tentare di organizzare una resistenza. Il popolo, tuttavia,   si sollevò un po’  dovunque davanti all’avanzata dei francesi. Se si gira un po’  per il sud e si leggono le storie dei tanti castelli e borghi  si trova un’impressionante serie di   incendi  e repressioni dei francesi .La repubblica partenopea   fu sostenuta  da un numero esiguo di nobili e borghesi  ma dappertutto si accese una  sanguinosa lotta fra i sostenitori del vecchio regime e i cosi detti giacobini. Il cardinale Ruffo riuscì a raccogliere così un’armata dalla Santa Fede (sanfedisti)  in difesa del trono e  dell’altare, visti in quest’occasione come un’unione inscindibile e, ritiratisi i francesi, ebbe una facile vittoria sui pochi  difensori della repubblica a Napoli. In realtà, la lotta vera non si ebbe nella capitale ma in tanti centri  delle province dove  ci furono non pochi scontri sanguinosi e massacri  indiscriminati ( ad esempio nella cittadina di Altamura si ebbero migliaia di morti ).    In seguito, lo spirito sanfedista si mantenne vivo in tutto il sud e si contrappose  sempre ai moti liberali.

Quando  i garibaldini sbarcarono in Sicilia e poi proseguirono   sul continente  il fenomeno  si ripetette. L ‘esercito borbonico non offri grande resistenza  : solo alla fine nella battaglia del Volturno  affrontarono veramente i garibaldini ed in seguito difesero strenuamente Gaeta dall’assedio delle soverchianti  forze piemontesi. Ma nelle province  un pò dappertutto si scontrarono le due fazioni:   in alcuni luoghi si ebbero delle insurrezioni liberali, come per esempio in Basilicata si ebbe la “ insurrezione lucana “ che anticipò di qualche mese l’arrivo dei garibaldini, in  altre si ebbero due insurrezioni contrapposte, una a favore e l’ altra contro i Borbone,  come ad Isernia che passò a  volte dall’una all’altra fazione. Nell’adiacente valle fra Matese e Campobasso  presso Pettorano un intero corpo di 800 uomini al comando del garibaldino colonnello Nullo fu sgominato ed annientato da contadini in rivolta spontanea .

Lo scontro delle fazioni non si fermò con la fine dell’assedio di Gaeta e il ritiro di Francesco II, che non aveva comunque rinunciato al trono. Abbiamo quindi una serie impressionante  di scontri sanguinosi  con massacri e saccheggi  dall’una e dall’altra parte: ricordiamo ad esempio Pontelandolfo e Casalduni, Ruvo del Monte, Auletta, Montefalcione, Montemiletto.  

 Si è parlato di una repressione piemontese ma è improprio : si trattava di  una specie di guerra civile fra due fazioni, una praticamente incarnata dal popolo minuto e l’ altra dalla borghesia possidente in cui i Piemontesi intervenivano  per mantenere l ordine, che in pratica significava  reprimere le sommosse  anti-unitarie.  I briganti allora si inserirono nella lotta  parteggiando per i filo borbonici , non potendo certo appoggiare l’altra fazione.

Quindi, in realtà, ci fu uno scontro politico  fra le idee liberali , unitarie e i sanfedisti, di coloro che cioè si battevano per la fede e che sentivano minacciata dalle nuove idee  liberali e che vedevano nel trono, nel re  legittimo per volontà divina  la  garanzia  della fede.  

  Se noi consideriamo ad esempio  l’episodio simbolo , il più noto, di Pontelandolfo e Casalduni, (cfr http://www.americacallsitaly.org/regno%20di%20napoli/210909%20pontelandolfo/pontelandolfo.htm) i briganti hanno una parte marginale.  L’ uccisione spietata e crudele dei 41 militari italiani non fu opera di briganti  ma del popolo infuriato di quei paesi   e su di esso si abbatté quindi la repressione dell’esercito.

 Alla fine del 1861 apparve a tutti chiaro, anche ai cafoni che si erano illusi, che il ritorno del Borbone era impossibile, che non si sarebbe ripetuta la vicenda del 1799 della Repubblica Partenopea e allora il brigantaggio perse gradatamente ogni connotazione politica e restò solo il segno di un reale disagio di quelle province .

 Quindi in conclusione possiamo dire che nel meridione d’ Italia ci fu effettivamente una resistenza contro il nuovo assetto politico,  ma che essa non va identificata  con il brigantaggio, che semplicemente si inserì in essa.