di Mario Pizzoli
Non bastava il caso Djokovic, relativo alle vaccinazioni anticovid, ad infiammare la discussione sulla “dittatura” di Stato. La recente invasione militare dell’Ucraina da parte del Presidente russo VVP ha scatenato ampi dibattiti (e veloci reazioni) in ambiti sportivi diversi, per allargarsi poi allo scibile umano, coinvolgendo arte, e insegnamento, con risvolti tra il grottesco e il surreale, sia in un senso che nell’altro.
Il primo credo sia stato un direttore d’orchestra che, presunto filorusso, ha pensato di non prendere le distanze dalla guerra (si è una guerra checché ne dica VVP) e pertanto è stato allontanato dal podio. Poi è toccato ad altri personaggi, team, squadre, in ambito sportivo e non, a subire stop ed esclusioni.
Oggi seguivo una trasmissione di fascia prandiale, e veniva commentata la notizia dell’esclusione di tennisti russi e bielorussi da Wimbledon. A commentare c’era Adriano Panatta. Il dibattito che ne è seguito è stato per me di fantasia totale.
Quasi tutti i commentatori sembravano in accordo sull’inappropriatezza dell’esclusione, più o meno dicendo che lo sport è lo sport, che i tennisti russi sono due signori sfortunati per essere nati sul suolo russo, e che l’esclusione era una sciocchezza.
Mi sono meravigliato non tanto per l’opinione (ognuno la pensa come crede) ma per le motivazioni. In pratica, essendo un torneo tra individui, non avrebbe senso discutere di esclusione per nascita (una specie di Ius Soli al contrario).
Allora, non riesco a capire come non si riesca a fare una distinzione tra le varie situazioni.
Se blocchiamo (come è stato proposto) la lezione su Dostoevsky si cade nella follia pura. Non esiste alcun presupposto per impedire la conoscenza di autori classici, russi o meno. Il punto di discrimine, per gli artisti, è la celebrazione della “grande madre russia”. È evidente che se l’artista viene celebrato come un’icona per celebrare allo stesso tempo la Russia attuale, lo stop può essere opportuno. Ma la semplice discussione dell’opera di un autore dell’800 o del 900 senza parallelismi attuali non può considerarsi celebrazione, se non semplicemente dell’opera tal quale.
Lo stop di semplici cittadini russi sarebbe una follia anticostituzionale, e comunque impensabile.
Ma quando si arriva allo sport, qualcosa di logico c’è.
Si, è vero, anche loro sono dei cittadini, ma il vero punto nodale è la celebrazione dell’individuo (o del team) estesa all’intera Nazione.
Quando vincemmo i campionati Europei, ci fu un tripudio (inappropriato, visti problemi reali che il Paese sta attraversando) come se avessimo vinto una guerra.
Ecco, lo stop agli sportivi russi, individualmente o a squadre, ha il sapore dello stop alle celebrazioni, che inevitabilmente porterebbero il paese ospitante a omaggiare un paese belligerante, anzi aggressore, e il paese aggressore a festeggiare non solo i massacri militari, ma anche una vittoria sportiva. Ecco questo diventa inaccettabile nell’economia dello sport, dove gli ideali nobili dovrebbero prevalere su quelli individuali. Il caso del kartista che, gareggiando sotto la bandiera Italiana, ha salutato la sua vittoria con un saluto troppo simile a quello nazista, rende plasticamente perché uno sportivo possa essere escluso.
“Eh ma solo con la Russia? e allora la NATO, e gli USA?”. È possibile che si sia sbagliato in passato, è possibile che le situazioni non siano affatto identiche, è possibile che i tempi fossero diversi, ma anche se fosse vero, avessimo sbagliato prima ci impone di continuare a farlo ora? Credo nessuno possa dire con certezza che la strada seguita dalle federazioni Internazionali e da molte federazioni Nazionali sia assolutamente giusta, ma a me appare quanto logica. Occorre dare segnali forti, coerenti, e costanti a VVP sulla illiceità delle sue azioni, e dare meno spunti possibili per fare propaganda, che è oggi una delle armi, insieme al terrore della reclusione, con cui VVP tiene stretti a sé milioni di russi.
Lo sport è un business redditizio, ma non può esserlo a scapito di certi valori essenziali.