di Mario Pizzoli

Tre brevi accenni ad altrettanti topics molto in voga ultimamente

1) leggo che una ragazza, per via di brutti voti e in generale per risultati forse non brillanti, si catapulta dalla finestra e muore dopo un volo sul selciato.

Ora, detto così, sembra un caso isolato; ma non solo non lo è, ma dovrebbe dare argomenti di spunti sia al legislatore che agli esperti del mondo dell’istruzione.

Al di la dell’episodio terribile, credo si debba procedere quanto prima ad intercettare il disagio giovanile e gestirlo con metodi più “moderni” che non la semplice punizione (un brutto voto o una nota o una sospensione). In generale, credo che il sistema scolastico debba riformarsi, e presto, come dimostra l’alto abbandono e il sostanziale impoverimento della cultura adolescenziale. Secondo me, su due fronti: da una parte migliorare e “svecchiare” il metodo di fruizione delle informazioni con l’introduzione di ore di maggior partecipazione alla cultura sociale, quindi studio antropologico e storico delle religioni, ad esempio, o educazione civica applicata ai fatti attuali, o altri spunti di discussione come valori politici o etici. L’altro fronte, più impegnativo, se possibile, è la necessità di intercettare meglio e più precocemente il disagio giovanile determinato da ampie sacche di bullismo, ad esempio, o di competizione smodata, con l’aiuto di psicologi e pedagoghi, laddove sia necessario. Ma è certo che la scuola costituisca una forgia importante e precoce dei cittadini di domani, e la preparazione, lo sviluppo del talento individuale, il supporto a chi rischia di rimanere indietro risulta fondamentale, insieme a storia, geografia e matematica.

2) leggo di un ennesimo morto sul lavoro. Non importa chi sia, quanto ragazzo o adulto sia, se sia un uomo o una donna o per quale motivo sia “morto”: è sempre un individuo di troppo che non farà ritorno a casa da un luogo di lavoro raggiunto in generale per portare a casa un pranzo e una cena, e a qualche extra, se va bene.

Il dato delle migliaia di individui in questa terribile statistica è ancora più straziante alla luce del fatto che nella stragrande maggioranza dei casi queste morti sono evitabili. Il dato zero è impossibile, ma ad ogni morto ci si dice, ipocritamente, che sarà l’ultimo. Promessa sempre tristemente disattesa. E’ necessario intervenire radicalmente sia sul datore di lavoro, sia sui lavoratori e sui rappresentanti dei lavoratori. Se vogliamo che il dato rasenti lo zero, le leggi sulla prevenzione degli infortuni vanno rispettate, da tutti. DA TUTTI. E chi non le rispetta va “obbligato” a rispettarle. Deve esserci una grande mobilitazione etica che costringa tutti a prendere coscienza che uscire da casa e non farci più ritorno, non è accettabile a fronte di scuse come “eh ma se devo applicare tutte le leggi i costi sono esorbitanti” o “il casco non lo metto perché fa un caldo bestia” o “mi hanno detto di aumentare la velocità quindi abbiamo disattivato il controllo perché fa perdere tempo, tanti siamo tutti esperti”. Non esiste scusa che tenga che giustifichi il disattendere una regola antinfortunistica. Occorre rendere remunerativo o poco costoso mettersi in regola e far rispettare le leggi, e colpire duramente chi invece non le rispetta. Basta poco, che ce vo’?

3) leggo l’ennesimo articolo sulla “caccia al putiniano”. Naturalmente sia l’eccessiva semplificazione dell’etichetta, sia la scarsa voglia di analisi rendono questo argomento spinoso e mal posto.

Credo che vada distinto chi, in maniera fattuale e oggettiva, argomenta un dissenso sul pensiero prevalente (mainstream mi fa venire l’orticaria), da chi con argomenti pretestuosi e interpretati faziosamente, distorce la realtà a favore di propaganda.

Non esiste un confine netto, è bene dirlo, non c’è un metal detector in grado di smentire immediatamente l’interlocutore, ma di solito esistono mezzi idonei a scoprire bufale, e a contrastarne la diffusione. Per quanto mi riguarda, rispetto alle notizie, cerco di documentarmi alla fonte, o di trovare più fonti possibili, per farmi una mia idea. Raramente accetto idee altrui o idee considerate la “bibbia”. Ma è soprattutto lo scenario e il momento in cui certe affermazioni vengono dette a determinarne l’interpretazione in un senso o in un altro. Ciò che è stato detto 3 anni fa può non riflettere il pensiero corrente di chi quell’affermazione l’ha fatta in passato. Nel caso dei “filoputiniani” il discrimine è tra chi dissente, e chi fa propaganda. Non credo che chi oggi accusi la NATO (col conseguente ritornello “e allora la NATO?”) sia un putiniano necessariamente. Ha solo difficoltà ad analizzare il presente perché legato ideologicamente ad avvenimenti passati che possono non avere alcun legame con il fatto attuale (la guerra in Ucraina). In questo i social hanno una gravissima responsabilità sia per l’inutilità analitica (i social sono fatti per brevi comunicazioni, non per analisi come questa) sia perché paradossalmente ogni individuo si pone al pari dell’esperto, e sedicenti esperti si pongono contro veri esperti. Tutto questo confonde, non arricchisce il dialogo e l’analisi stessa, ma li complica. Si dice che si debba parlare solo quando si ha qualcosa di concreto da dire. Ecco, si aggiunga anche che si debba parlare quando si hanno gli strumenti per cui quello che si dice abbia un senso. La maggior parte delle discussioni invece sembra un groviglio di dati laocoontico. E questo non aiuta a sopravvivere.