di Salvo Scibilia

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Qualche giorno fa avevo comprato un pomodoro “insalataro”, di origine olandese, credo.
Da solo è stato capace di rovinarmi un’insalata greca che nasceva da ottime premesse e sulla quale contavo molto. Mi sono lasciato ingannare da quella qualifica, “insalataro”, rivelatasi un millantato credito, overpromise, come L’elisir d’amore.
Stamattina, per un’altra insalata, stavolta una nizzarda, ho cambiato cavallo: ho preso un, uno di numero, “Cuore di bue”, lo so, il nome fa impressione, terrorizza anche i vegetariani, ma io sono di stomaco forte: sono stato svezzato a “Occhi di bue”, dei molluschi tenaci, sapidi e profondamente marini.
Il Cuore di bue fotografato pesa 200 gr tondi tondi e costa 0,80 (cioè 3,98 al kg.). Fosse stato appena appena più grosso, avrei proposto al mio vicino di pianerottolo, un single assai gentile, di fare a metà.
Alla fine ho evitato che mi si spezzasse il cuore. “Una famiglia, un pomodoro”, mi sono detto, un vezzo da vecchio pubblicitario.
Ma il dramma non è il prezzo! È la certezza che questo pomodoro è privo di senso.
So già che è una cosa inutile, è solo una lusinga ottica che toglierà sapore all’insalata, all’estate e alla vita.
D’altra parte, da un Cuore di bue allevato come i polli in batteria non si possono pretendere miracoli. Per quelli occorre rivolgersi a un altro cuore, al cuore taumaturgico di nostro Signore.

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