di Maria Grazia Di Michele

Eccomi a commentare il libro “Il Colibrì” dopo aver recensito il film.

Quando ho deciso di leggere il libro, l’ho fatto soprattutto per una curiosità di tipo tecnico/formale: la frantumazione delle vicende narrate in un arco di tempo lungo una settantina di anni, vorticosamente proposte allo sguardo dello spettatore, come si presentavano nel romanzo?

E devo dire che sono identiche.

Piccola precisazione: il libro ( tranne che per le lettere, bellissime e di vario argomento, interessanti come le Grida de “ I Promessi Sposi”, rigorosamente in prima persona) è scritto in terza persona, ma chiaramente il punto di vista dello scrittore è Marco, il protagonista, il colibrì.

La frantumazione delle vicende, la rottura dell’ ordine cronologico credo che serva a rendere il flusso della memoria, i ricordi di una vita che ci appaiono smembrati quando, per esempio, sveniamo, veniamo anestetizzati e, credo, quando moriamo.

Anche questo andare e venire del tempo, questo andare e venire di gioie e dolori, questo susseguirsi di dolori e di perdite, questo tempo che toglie e sottrae e di sottrazione in sottrazione ti lascia solo ( non voglio svelare nulla, ma quando arriverà la vita nuova, il nuovo futuro, sarà totale e rivoluzionario come ogni futuro che sogna ognuno di noi ), tutto questo dicevo, sottolinea l’ immobilità del colibrì che con le sue piccole ali resta sospeso nell’ aria e resiste perché, come dice il protagonista, durante un uragano si salva solo chi si trova proprio al centro.

Altra considerazione, che però differenzia il film dal libro, come tutti i libri molto introspettivi, credo: Veronesi, autore del libro, è “padrone” dei suoi personaggi, detiene l’ esclusiva dei loro sentimenti, pensieri, ricordi, emozioni, paure, rimpianti, sogni…tutto scrive, tutto spiega e tu, lettore, puoi capire, commuoverti, trovare somiglianze o differenze con la tua vita, ma non c’è spazio per la tua immaginazione ( neanche fisica, dopo che hai visto il film che ha dato un corpo ai personaggi); l’ Archibugi, autrice del film, invece, lascia più libero lo spettatore di interpretare, di aggiungere la propria sensibilità ai personaggi, di interpretare l’interpretazione degli attori…non so se sono riuscita a esprimere questo pensiero che sto formulando in questo momento: il film permette, stimola una “ creazione” dello spettatore, il libro no: la parola scritta è granitica.

Tanto altro vorrei scrivere, ma mi rendo conto di aver esagerato un po’… un post non è certo lo spazio per un elaborato per l’ esame di maturità!

P.S. Il capitolo più bello, secondo me, è quello in cui Marco, da nonno, per bocca dell’ autore, parla della sua Miraijin, l’ uomo del futuro, mirabile creatura nuova, promessa e speranza, certezza e forza della vita.

Parla di lei, come io, da nonna, parlo del mio futuro: Livia e Irene.

Per questo alla copertina del libro aggiungo come immagine il “Tuffo nel Futuro”

 

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