di Giovanni De Sio Cesari

Il conflitto

I moti di  Isernia, la strage di Pettorano, la battaglia del Macerone  sono avvenimenti praticamente dimenticati, pochi  ne hanno qualche nozione, anche i nomi dei luoghi  non sono noti al di fuori del piccolo ambito locale  Essi si svolsero in contemporanea alla battaglia  del Volturno, fra l’esercito regolare di leva del Regno delle  Due Sicilie e i Garibaldini, e  l’incontro di Teano che hanno  invece notorietà universale  e sono insegnate da 150 anni in tutte le scuole a cominciare dalle elementari. Sono avvenimenti che si collocano nelle vicende  che portarono alla scomparsa del quasi millenario regno di Napoli e  la formazione dell’Unita nazionale; ma sono anche i prodomi di una guerra diversa che si combattè  ancora con  ferocia  per anni, conosciuta comunemente  come la repressione  del brigantaggio meridionale, parte della più vasta questione meridionale.

 In  effetti  i contendenti, i metodi , le vicende di queste sanguinose vicende  sono cosa diversa dalla Spedizione dei Mille. I contendenti erano solo apparentemente i sostenitori dell’ unità nazionale e della monarchia costituzionale  opposti agli ostinati difensori dei Borboni

In realtà, sostanzialmente. erano da una parte i possidenti terrieri  agiati e colti  e dall’altra i contadini attanagliati  della miseria, analfabeti, che conoscevano solo il loro piccolo mondo contadino, del tutto ignari e inconsapevoli  di ciò che accadeva al di fuori di esso.  I primi erano definiti galantuomini ( nel senso che portavano abiti di gala , cioè di cerimonia), i secondi cafoni, secondo un’antica denominazione d’ incerta origine. Si distinguevano anche dal copricapo allora sempre usato da uomini e donne:  i primi portavano il cappello , i secondi  la coppola ( si diceva quindi lotta fra coppole e cappelli). Le donne dei possidenti portavano il cappellino ( impensabile uscire di casa senza di esso) e l’ombrellino, le donne dei cafoni invece si coprivano all’occorrenza il capo con lo scialle che  con cui si coprivano le spalle o anche con eleganti fazzoletti (muccaturo)  che si vedono ancora nella rievocazioni folcloristiche .  

Diverso anche  e soprattutto li modo di combattere nei due conflitti.  Non battaglie campali come Calatafimi, il Volturno e l’assedio di Gaeta ma una violenza diffusa  episodica. casuale  che esplodeva qui e là senza precisi piani  prestabiliti , in quella che definiremmo una guerriglia  di bande irregolari,  considerate  però repressione  del brigantaggio.  Soprattutto diversi l comportamenti    dei combattenti. Nella spedizione dei garibaldini si combatteva anche con accanimento, ma secondo regole  cavalleresche e militari , mentre in queste  c’era una ferocia  senza regole e limiti. Se i garibaldini non prendevano prigionieri, perché quelli che si arrendevano venivano lasciati liberi di andare alle loro case o eventualmente arruolarsi nelle  file garibaldine,    in questa invece non si prendevano prigionieri perchè  i nemici si uccidevano, si fucilavano sul posto

Notiamo, al margine, che in questo conflitto civile  le donne  sono risparmiate. Non si hanno notizie sicure  di stupri anche se qua e la  vi è qualche accusa:  le  furia dei cafoni si riversava sugli uomini,  ma risparmiava le donne. Il conflitto civile comincia ad esplodere quando il re Francesco II emana, o meglio ripristina, lo statuto concesso dal  padre Ferdinando II  nel 1848: la sua speranza è quella di conciliarsi con i  liberali del regno e in prospettiva promuovere una federazione degli stati italiani nella quale il regno di Napoli   avrebbe conservato una sua specificità ed il suo re.

 In  realtà ,però, la mossa fu disastrosa: venivano messi in posti di responsabilità dei liberali  che naturalmente  inclinavano per Garibaldi, compromettendo  quindi ogni possibilità di resistenza.  Infatti, il governo di Napoli in teoria  giurò fedeltà al re; ma, in effetti ,si mosse dalla  parte di Garibaldi e lo accolse trionfalmente  quando questi entrò in Napoli. Quelli che tenevano invece per il re , i  reazionari messi da parte, persero ogni  fiducia nella causa legittimista.  A questo punto però cominciano a insorgere  le  campagne, a volte spontaneamente, a volte guidate da qualche nobile  e cominciò il conflitto civile.

La rivolta del Molise

 La zona di cui trattiamo è quella intorno ad Isernia  ( Molise)  che aveva in quel momento un valore strategico  in quanto era il passaggio obbligato per l’esercito sardo  per raggiungere  Napoli  e assolvere il  suo  compito di completare l’annessione del regno delle Due Sicilie  e insieme mettere in disparte Garibaldi , perché non fosse tentato di  una marcia su Roma o peggio ancor di costituire una repubblica di ispirazione mazziniana.

 La strada da percorrere era quella ora denominata SS 17  ed allora nota come strada consolare degli Abbruzzi. Essa attraversava  tutto l’Abbruzzo, arrivava a Sulmona e da qui risaliva l’altopiano delle Cinque Miglia,  strada costruita ai tempi di Napoleone,  (attualmente vi è una variante moderna)  e  da Roccaraso discendeva quindi verso Castel di Sangro. Da qui passava per Rionero sannitico e risaliva  con una strada stretta e disagevole il valico del Macerone a 650 metri, discendendo quindi verso Isernia. Attualmente questo tratto non viene più usato se non per traffico locale perché vi è una variante parallela  a scorrimento  veloce a una ventina di chilometri  che arriva fino all’Adriatico, percorrendo la  valle del Sangro. Si passava quindi per il centro di Isernia (ovviamente ora ci sono varianti)  e si poteva raggiungere attraverso Venafro la valle del Volturno  dalla  quale si poteva giungere a Napoli,  oppure passando per la valle  dove si trova Pettorano  a  Benevento

In seguito allo statuto viene istituita il 5 luglio 1860 la guarda nazionale  che teoricamente era un corpo in armi del Regno ma era formato e guidata  da  galantuomini locali, tutti liberali  e quindi in pratica parteggiava per Garibaldi e il nuovo ordine politico che si stava formando. I contadini, i cafoni, tengono  invece per il re: essi non credono affatto che la costituzione sia una scelta del re  e comprendono perfettamente ,più di quanto comprendesse il re stesso, che in realtà è un modo per dare spazio e potere a quelli che sono contro il re.

In Molise quindi il 23 luglio 1860 iniziano le prime sollevazioni spontanee di contadini a Isernia , nella vicina Fornelli e  un pò dovunque nella zona, sedate per il momento dalla  guardia nazionale con qualche sporadica vittima. Intanto il  7 settembre Garibaldi entra trionfante in Napoli  accolto festosamente dal governo, teoricamente ancora regio,  e dalla popolazione. Si saprà  in seguito che  il liberale   Liborio Romano,  teoricamente facente parte del governo del re,  aveva attivata  la camorra  per predisporre il popolo a favore di Garibaldi.-Il giorno dopo senza indugio a Isernia l’intendente Venditti, da pochi giorni nominato,    proclama l’adesione della cittadina  al nuovo  governo, inviando un telegramma in cui si elogia senza riserva il governo dittatoriale di Garibaldi. Viene nominato sindaco dai liberali il possidente  Stefano Jadopi  che ,subito dopo però, parte per Napoli  per farsi conoscere dai nuovi governanti .

 Intanto, il regio esercito sabaudo ha varcato il confine dello stato pontificio e il 18 settembre batte a Castelfidardo  le truppe pontificie  guidato dal Lamorciere  e avanza negli Abbruzzi. Nel frattempo, il re Francesco II schiera l’esercito   per una battaglia campale e decisiva contro Garibaldi   fra S Maria  ( Capua Vetere) e i ponti di Maddaloni , sperando di sconfiggere i garibaldini e tornare vittorioso  nella capitale .La zona di Isernia  diventa  quindi cruciale strategicamente perchè è alle spalle dell’esercito borbonico  ed è il passaggio obbligato che  l’esercito sardo deve percorrere prima di arrivare a Napoli, come abbiamo prima visto. Si muovono quindi i sostenitori di Garibaldi, arriva da Napoli un piccolo drappello  di appena 22 garibaldini  ma anche corpi numerosi  di volontari meridionali: i cacciatori del Vesuvio di Pateras, i volontari matesini agli ordini del maggiore De Blasio, la Legione sannitica di Francesco De Feo .

Va precisato che queste truppe e altre che poi citeremo, che intervennero nella  vicende del Molise, non erano quelle dei volontari di ogni parte di Italia che costituivano gli uomini direttamente guidati da Garibaldi ma erano uomini  organizzati da galantuomini locali e quindi  entravano nel conflitto con altro animo. Le  truppe   però restano poco nella zona movendo in altri luoghi pure in subbuglio e in particolare i volontari del Vesuvio partono per l’Abbruzzo  incontro all’avanzante  esercito sabaudo.  Restano quindi  solo i 22 garibaldini e  la guardia nazionale locale di Isernia .Verso il Molise parte allora una colonna di 600 uomini  guidati da un ufficiale  borbonico, Liguoro, che era sto uno dei pochi a opporsi veramente alla avanzata in Calabria dei Garibaldini e occupa Venafro sulla strada per Isernia. Subito esplode la rivolta popolare  dei  cafoni in tutta la zona   e il 30 settembre, il giorno prima della battaglia del  Volturno, è la notte tragica di Isernia.

 In tutta Isernia i cafoni assaltano le case dei galantuomini compromessi con i Garibaldini, le case vengono saccheggiate e incendiate. Tutti quelli che non riescono a fuggire  vengono uccisi senza pietà  e ci sono scene selvagge di una violenza al di là di ogni umanità. Ad esempio, al figlio del sindaco che era andato a Napoli,   Francesco Jadopi,  vengono  cavati gli occhi e muore   dissanguato. Un certo  Falciari, che al momento dell’adesione  al nuovo regime aveva urinato per disprezzo su una moneta con l’effige reale, viene percosso,  impiccato a un lampione e gli vengono messi in bocca i genitali.Di fronte a tanta violenza, si chiede al vescovo di Isernia, Saladino, di intervenire in nome della cristiana pietà  con la sua autorità religiosa, ma questi,  nemico acerrimo  dei  liberali, si rifiuta decisamente. 

 Intanto il 2 e 3 ottobre la battaglia  del Volturno è vinta dai garibaldini : più precisamente i borbonici non riescono nella  loro manovra di accerchiamento  delle  forze garibaldine e a sconfiggerle, ma l ‘esercito rimane intatto; tuttavia,  lo sconforto è grande e  quindi  si ritira versa la munita piazzaforte di Capua, che viene però abbandonata per rifugiarsi in Gaeta  anche perchè alle loro spalle sta marciando la forte  armata  sarda. I borbonici  resistono a lungo in Gaeta nella  speranza del soccorso di altri paesi europei, soprattutto della Francia. Soccorso che non arriverà mai.

Intanto,  a Isernia la rivolta  filo borbonica ha trionfato  e si è estesa a tutta la zona. A Carpinone, a Macchiagodena, a  Castelpetroso e un pò dovunque orde di cafoni inferociti  danno la caccia ai liberali al grido di “viva Francesco e viva Maria”,  e  molti possidenti perdono la vita oltre che i beni .Il 4 ottobre  arrivano però 800 guardie  nazionali ,provenienti da Campobasso e guidate dal Governatore del  Molise, Nicola De Luca. Assaltano Isernia, tenuta dai borbonici,  e dopo  tre ore di battaglia, a notte, entrano in città.

De Luca impone una tassa di guerra e procede ad arresti tra i sollevati. Il vescovo Saladino, che non aveva voluto intervenire,  viene arrestato con brutalità, il suo segretario ucciso. Si succedono esecuzioni  e saccheggi pure ma in misura molto più limitata della precedente notte tragica del 30 settembre. Il giorno dopo, il 5 però arrivano altri soldati borbonici e soprattutto masse di cafoni in armi; allora, le guardie nazionali si ritirano verso  Castel di Sangro andando incontro ai Piemontesi . I pochi rimasti vengono massacrati  in paese,  nelle campagne, nei  boschi sui monti e ricominciano i saccheggi delle case ricche .

Strage di Pettorano

  Garibaldi vuole  mantenere libera la strada all’esercito sardo che scende dai monti dell’Abbruzzo. Per questo si  offrirono  l gruppi di guardie nazionali del Molise e a capo di esse fu inviato  un garibaldino, il colonnello Francesco Nullo con altri ufficiali .

 Si mettono in marcia da Maddaloni  per raggiungere la valle fra il Matese e i monti di Campobasso  in rivolta per congiungersi verso Isernia con  l’esercito sardo che scendeva dal nord . Garibaldi, ben consapevole però dei rischi che comporta avanzare in quelle difficili condizioni di terreno in mezzo a bande di  cafoni pronti a ogni azione,  gli ordina espressamente di  aspettare a Boiano presso Campobasso e di avanzare su Isernia solo all’arrivo dell’esercito sardo.   

Ma  Nullo non eseguì gli ordini, sottostimando il pericolo delle  bande irregolari di cui evidentemente non aveva alcuna considerazione.  Anzi,  a Pettorano (attualmente Pettoranello del Molise per distinguerla  dalla Pettorano del Gizio sull’altro lato del massiccio   di Roccaraso)  accettò l’invito a pranzo dei Santoro, una famiglia di possidenti del luogo,  e anche quando fu avvisato che  si vedevano da ogni parte bande  di cafoni in armi,  non si dette gran pensiero e restò a suonare il pianoforte. a casa dei suoi ospiti.

 Il giorno 17, quando  era a pranzo presso i Santoro, inizia la battaglia : i  garibaldini attaccano   i regolari borbonici che  si ritirano, ma dai fianchi, sui crinali dei monti e delle colline, fra i boschi si materializzano bande di irregolari.

 I cafoni sparano a attaccano dai  fianchi , appostati dietro  i tronchi e i massi. Una grandinata di fucilate si abbatte sui garibaldini che sono assaliti da ogni parte. Su di loro piombano addosso masse di contadini armati di scure, uncini, ed altre armi improvvisate.

Le munizioni si esauriscono. le file si assottigliano.  man mano, sopraffatti dai nemici. Quelli a cavallo cercano di fuggire verso Campobasso per la consolare, quelli appiedati  cercano rifugio per le  colline, per i boschi e  le campagne, ma vengono inseguiti e uccisi uno per uno dalla furia dei cafoni, più pratici del luoghi, con scuri ,coltello bastoni. Qualche volta schiacciano loro  la testa  con le pietre. Sono  poi  spogliati, derubati e lasciati insepolti.

Fu un eccidio, fu una vera ecatombe!

 Nel  mezzo della battaglia, Nullo fugge verso Boiano gridando che va a cercare aiuti che ovviamente non arriveranno.  Nullo si salvò dall’eccidio di cui era il maggiore responsabile. Un certo Mescieri  legò due  teste recise di garibaldini alle canne del fucile e se ne andava in giro vantandosi del macabro trofeo. In seguito, fu arrestato dall’esercito  sardo e scontò 50 anni  di carcere. Anche altri cafoni, che si macchiarono di atrocità,  furono in seguito condannati da regolari tribunali militari.  L’ unica salvezza per i garibaldini erano i soldati regolari borbonici che infatti ne salvarono molti catturandoli. Inviati  al carcere di Isernia, furono liberati qualche giorno dopo dall’esercito sardo.

La folla assalta , saccheggia e incendia la casa dei Santoro e ne arresta tutti i membri  maschi per aver invitato a pranzo  Nullo. Questi, però,  ebbero la fortuna di essere tradotti in carcere ad Isernia dai soldati regolari e quindi liberati dal sopraggiunto esercito sardo qualche giorno  dopo. Quanti furono i caduti ? Non si sa con precisione:  la colonna di Nullo era formata da circa mille  uomini e non si sa quanti scamparono. Teniamo presente che  nella  battaglia del  Volturno si contarono circa 300 morti  per parte. Possiamo considerare che nella strage di Pettorano caddero almeno altrettanti  ma di essi non rimane nessun ricordo, nemmeno uno stele in qualche angolo remoto.

 Il bergamasco  Francesco Nullo non era un incapace  o un novellino; anzi, aveva combattuto anche nella II Guerra di Indipendenza, si era distinto a Calatafimi, era stato il primo a entrare in Palermo. In seguito, andò a combattere in Polonia , insorta contro i Russi, cadendo in combattimento dopo aver mostrato  grande valore e  capacità. Viene allora da chiedersi come mai ha potuto comportarsi con tanta leggerezza a Pettorano .

La spiegazione, che a noi sembra più convincente, è che egli fosse psicologicamente impreparato  a  capire la situazione in cui si trovava. Come tutti gli idealisti garibaldini egli pensava di andare a  liberare  il popolo oppresso dai Borboni  e non   poteva mai pensare che proprio quel popolo sarebbe insorto massicciamente in armi  non contro i Borboni ma contro i garibaldini .

 In effetti, tutti i patrioti, anche quelli nativi del regno, non si resero conto che si trattava di un altro conflitto, non fra libertà e assolutismo  ma fra possidenti e contadini o come  si diceva fra galantuomini e cafoni.

La battaglia del Macerone 

I fatti di Pettorano  resero possibile un tentativo di resistenza all’avanzata dei piemontesi che provenivano dall’Abbruzzo.il 12 settembre  l’armata sarda, forte di 50 mila uomini ben armati e organizzata, aveva attraversato  il Tronto,  confine del regno delle Due Sicilie,   ovviamente senza alcuna dichiarazione di guerra.  Civitella del Tronto, una formidabile fortezza messa al confine. fu aggirata senza difficolta e continuerà a resistere per oltre un mese  dopo la caduta di Gaeta    e in seguito distrutta con le mine. La fortezza di Pescara, invece ,si consegnò senza resistenza . Si prende quindi la via che passa per Roccaraso e si arriva a Castel di Sangro. Di là, la strada  allora passava per una stretta  gola che portava al  valico  del Macerone e quindi a Isernia,  da dove si poteva giungere a Napoli;  oppure, passando per la valle  nella quale si era avuto la strage di Pettorano, a  Benevento,

I borbonici potevano tentare quindi di fermare l’avanzata  sul valico  del Macerone. A questo tentativo  furono inviate truppe regolari a cui si aggiunsero masse di cafoni in armi del Molise.  Il comando fu affidato a uno strano personaggio, il maresciallo Luigi Scotti-Douglas che  era stato   carbonaro ma poi era diventato  un accanito reazionario. Gli fu affidato quindi il comando delle operazioni

Se la strage di Pettorano fu dovuta  agli errori  del colonnello Nullo,  la resistenza sul Macerone fallì soprattutto per l’ incompetenza dello  Scotti . In verità, in nessun caso le poche truppe e le bande di cafoni potevano tener testa al forte, ben organizzato e bene armato esercito sardo : si poteva tentare solo una qualche resistenza per qualche tempo, più che altro a scopo dimostrativo.

L’errore dello Scotti fu quello  di non occupare immediatamente la posizione strategica del Macerone, la cosa più ovvia da fare,   perché riteneva che i Piemontesi fossero ancora lontani. In effetti, il grosso dell’esercito con Vittorio Emanuele  II  era ancora lontano ma un’ avanguardia di 5 mila uomini guidati  dal Cialdini era vicinissima. Quando fu poi avvertito che nella  valle del Vandra ,che si trova prima del Macerone per chi proviene dall’Abbruzzo,  già si vedevano  i piemontesi credette  che non si trattasse di forze regolari ma dei volontari del Vesuvio, al comando di Pateras che già  erano intervenuti nei fatti di Isernia e non se ne preoccupò troppo.  Invece, si trattava dell’avanguardia dei circa 5 mila soldati  di Cialdini.

Immediatamente i Piemontesi si precipitarono ad occupare la posizione strategica ancora incredibilmente libera.   Furono mandati avanti i bersaglieri lasciando indietro le altre truppe più lente e pesanti.

 Solo allora lo Scotti si convinse ad avanzare  per prendere il passo., Avanzarono con tre colonne, la prima di armati regolari  sulla strada, mentre ai fianchi avanzavano in modo disordinato e spontaneo le bande dei cafoni.  Non si conosce bene il numero degli  uomini ma si ritiene che  fossero intorno a 3000 uomini ,non certo in grado  per numero, armamento e organizzazione e per di più in posizione sfavorevole   di fermare l’avanguardia sarda di 5 mila uomini .

I Borbonici attaccano comunque animosamente e per un momento sembrano avere la meglio  ma arriva il grosso delle truppe dell’esercito sardo_ La  prima linea borbonica viene  circondata e si arrende.  

I soldati restanti allora si sbandano e fuggono  cercando di ritirarsi su Isernia, ma in massima parte sono presi prigionieri .  I cafoni invece fuggono disordinatamente  per i boschi e le  campagne :  non hanno possibilità di arrendersi perchè  non considerati legittimi combattenti . Qualcuno che viene  preso viene fucilato.  Il maresciallo Scotti invece si consegna , viene portato a Sulmona, spedisce una lettera in cui si rammarica di aver servito nell’esercito borbonico e ricorda i suoi trascorsi  liberali. Alla fine,  otterrà anche la regolare pensione .

Intanto, rapidamente, i piemontesi arrivano a Isernia che prendono ormai senza resistenza. Dappertutto  si vedono   i segni del feroce scontro fra cafoni e galantuomini.

 Il Cialdini rispetta i regolari secondo le leggi di guerra ma contro i cafoni irregolari

comandò una dura repressione, messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie.

Fa pubblicare che tutti i paesani trovati armati saranno fucilati immediatamente sul posto. Inizia già cosi la repressione di quello che fu  definito brigantaggio che insanguino il sud ancora per anni.

Per i regolari invece  stipula una  Convenzione  con una commissione municipale  di Isernia per la  cura e trattamento dei militari malati e feriti delle Regie Truppe.

Il 22 ottobre  Vittorio  Emanuele II  entra in una Isernia desolata e distrutta che per la quarta volta in pochi giorni è passata da una parte  all’altra.

Ci rimane la descrizione di un episodio: un  uomo mostra al re un pugnale dicendo che voleva con esso trafiggere il cuore del re Francesco II  per vendicare un suo fratello  ucciso dai Borbonici  e affida il pugnale a Vittorio Emanuele perchè faccia egli  la sua vendetta non potendola più fare di persona.  Si vede qui l’ esasperazione di quelle folle inferocite e la distanza abissale  dalla guerra regolare. Certo, Vittorio  Emanuele  non avrebbe mai ucciso il cugino Francesco II ,ma comunque  prese il pugnale  per placare la folla. Altri riferiscono  che l’episodio sarebbe accaduto a  Castel di Sangro.

    Il giorno dopo il 23, il re lascia Isernia; poi, presso Teano il 26 avviene  il famoso incontro con Garibaldi :  realmente avviene nel comune attuale  di Vairano Scalo,  il luogo è ora segnato da una lapide.  

l 5 novembre 1860 inizia il lungo assedio di Gaeta che termina il 13 febbraio 1861.

 Il 17 marzo viene proclamato il regno di Italia, il  20 marzo Civitella del Tronto finalmente  si arrende  e poco dopo viene distrutta.

 Ma la repressione del brigantaggio era appena all’ inizio e continuò fra violenza, repressioni, rappresaglie omicidi ancora per anni.

Conclusione

A quel tempo si parlò di repressione di brigantaggio compito duro ma necessario e meritorio che non poteva non essere compiuto dall’esercito  del neonato regno di Italia; poi, da Gramsci in poi si interpretò come  una sollevazione popolare ( dei proletari ante litteram)   e ancora più recentemente  movimenti  filo borbonici parlano di una lotta contro l’invasore . Possiamo dire che sia stato tutte e tre le cose: certo, gli insorgenti erano soprattutto dei  briganti  non guerriglieri , c‘era una rivolta  del popolo più misero,  in fondo quell’esercito  appariva come  straniero ( i Piemontesi) . Ma noi diremmo che più propriamente  si può parlare di quella che i francesi chiamano jaquerie,  cioè rivolta di contadini   esasperati per un peggioramento delle  loro già misere condizioni. Esse  furono  ricorrenti non solo in Francia  ma un pò in tutto il mondo: i Comuneros nella Castiglia  del 1400  ( descritti in Fuente ovejuna di Lope de Vega ) .  la rivolta  dei  contadini ai  tempi di Lutero 1500 , della rivolta di Pugaciov in  Russia nel 700  (descritta da Puskin) , e le  tante periodiche in Cina e in India. Si tratta di rivolte di esasperazione con  violenze e stragi ma senza un piano, senza un programma e quindi destinate a fallire  anche se  qualche volta vittoriose al momento.

In realtà una  sollevazione contadina c’era stata a  Bronte in Sicilia molto nota perché oggetto di una novella di Verga : i  contadini si erano sollevati  e fatto un  massacro di possidenti nella illusione che la liberta che prometteva Garibaldi fosse quella di liberarsi dei possidenti. In quel caso Garibaldi mando Bixio a mettere le cose a posto perchè  una rivolta  contadina era quanto di più lontano poteva  pensare. Bixio represse violentemente con fucilazioni sommarie e poi ci furono lunghi processi  Ma se contadini siciliani, ostili per tradizione ai Borboni, erano insorti invocando Garibaldi, in tutto il regno di Napoli invece le rivolte ebbero il segno opposto contro Garibaldi per il re Francesco II.   Potremmo magari meravigliarci per questa scelta di campo che a noi appare  illogica: perché sostenere il vecchio stato di cose che portava alla povertà e non quello moderno che almeno prometteva, sia pure solo  a parole, il  riscatto dei popoli.  degli oppressi? Bisogna  considerare che il fattore più importante era che a pendere verso Garibaldi erano in massima parte  i possidenti e quindi il contadino era dalla parte  opposta.

 Bisogna poi considerare un altro elemento che a noi moderni sfugge: tradizionalmente  nella monarchie legittimiste dei sovrani per grazia divina,  il re non viene considerato  responsabili dei mali e delle  ingiustizie che avvengono ma se ne da la colpa ai suoi collaboratori e per estensione a quelli che esercitano funzioni amministrative e di direzione. Sono quindi i  nobili o semplicemente i possidenti ad avere tutte le colpe  perché abusano della  fiducia del re al quale poi si spera sempre che si possa ricorrere. Nel nostro caso poi, questi galantuomini erano anche i traditori del re e della religione alla  quale comunque tutti erano profondamente devoti:   l’ateismo di massima era di la da venire.